lunedì, luglio 03, 2017

LADY MACBETH

Lady Macbeth Di William Oldroyd 
con Florence Pugh, Cosmo Jarvis, Paul Hilton
UK, 2016
genere, drammatico
durata: 89’ 


La giovane Katherine vive reclusa in un gelido palazzo isolato in campagna, inchiodata da un matrimonio di convenienza, evitata dal marito, disinteressato a lei, e tormentata dal suocero che vuole un erede. La noia e la solitudine forzata spingono Katherine, durante una lunga assenza del marito, ad avventurarsi tra i lavoratori al loro servizio e ad avviare una relazione appassionata con uno stalliere senza scrupoli. Decisa a non separarsi mai da lui, folle d'amore, Katherine è pronta a liberarsi di chiunque si frapponga tra lei e la sua libertà di amare chi vuole. Ispirato ad un racconto del russo Nikolaj Leskov, "Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk", modificato radicalmente nell'ultima parte e in alcuni presupposti, e ambientato nel nord dell'Inghilterra, il film di William Oldroyd è un debutto impressionante, tanto per la forza del suo impianto visivo quanto per quella del carattere al centro del film. Ritratto di una dark lady ingenua e perversa, “Lady Macbeth” ci presenta la giovane Katherine come una donna piena di vita e di sensualità, dolorosamente ignorata dall'uomo dal cui padre è stata comprata e costretta a reprimere il proprio desiderio fino alla soglia della depressione. Sullo sfondo, splendido e ironico, di un maniero ottocentesco di sobria ed affascinante eleganza, fotografato come in una serie ininterrotta di dipinti fiamminghi, nelle più suggestive condizioni di luce naturale e di candela, la vittima si trasforma in algida, spietata carnefice. La sua fame si fa ingordigia, la sua determinazione follia, la sua parola recitazione. 


Florence Pugh, attrice britannica di cui non potremo non sentir parlare da questo lavoro in poi, sfrutta magnificamente l'occasione offertale dal ruolo e diventa tutt'uno con l'ambiente, restituendone l'apparente immobilità degli interni, il coraggio spregiudicato degli esterni ventosi, la glacialità degli spifferi. Shakespeariana nella certezza che il fine autorizzi ogni mezzo, sostenuta, in aggiunta, dal romanticismo di cui ha accuratamente ammantato la sua fantasia d'amore, Katherine è cieca di fronte all'evidenza delle cose così com'è insensibile all'odore e impermeabile al senso di colpa. Ha scelto, aggravando definitivamente il suo ritratto, di non farsi intralciare dal lavorìo della coscienza, di rimuovere immediatamente ciò che altrimenti finirebbe per perseguitare, ed è con questa diabolica volontà e con passo leggero e occhioni da bambina che si avvia verso il delitto ultimo e trascina il film, e noi con lui, verso una scena insostenibile. Il finale arriva esatto e col giusto tempismo, dietro l'angolo di quella scena, a dire che tutto è cambiato, anche se tutto è rimasto uguale. 

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