martedì, maggio 09, 2017

FESTA DEL CINEMA DI ROMA: SOLE, CUORE, AMORE

Sole, cuore, amore
di Daniele Vicari
con Isabella Aragonese, Francesco Montanari, 
Italia, 2016
genere, drammatico
durata, 112'



Se in Italia esiste un cinema politico non c'è dubbio che Daniele Vicari ne sia uno degli alfieri più illustri e rinomato, forte di una nomina conquistata sul campo grazie a "Diaz - Don't Clean Up This Blood" il film che raccontava con spirito critico e taglio documentaristico uno degli episodi più neri della nostra storia recente, quello che durante il G8 di Genova registrò la violenta irruzione della polizia di stato nella scuola di via Cesare Battisti. A questo stesso filone appartiene di diritto "Sole Cuore Amore" il nuovo lavoro del regista aretino che per il ritorno al lungometraggio di finzione sceglie di collocare la storia di Eli e Vale in quello spicchio di periferia romana vicino al litorale che aveva fatto da sfondo alle vicende narrate in "Velocità massima". Dell'esistenza delle sue protagoniste Vicari decidere di portare sullo schermo la parte più prosaica e meno affascinante che, nella fattispecie, coincide con il complesso delle attività economiche e materiali necessarie a sostenere se stesse e la propria famiglia. Un fatto che solo qualche tempo fa sarebbe rimasto fuori campo, magari sforbiciato per la maggior parte in sede di montaggio, e che invece oggi, con la grave crisi finanziaria e la disoccupazione arrivata ai massimi livelli, si è caricato di un'epica in grado di moltiplicarne il valore drammaturgico. Sostenuto da questa consapevolezza Vicari da un colpo di spugna a qualsiasi elemento che non sia collegato alla dimensione lavorativa in cui si muovono le protagoniste. Così facendo i tratti salienti dell'hinterland romano che altrove ("Non essere cattivo", "Fiore", "Suburra") era stati oggetto di analisi e riflessioni vengono subordinati e in qualche caso resi invisibili rispetto alla volontà di lasciare spazio al reiterarsi dei gesti e delle abitudini che occupano buona parte della vita di Eli, obbligata a svegliarsi alle prime ore dell'alba per raggiungere il bar sulla Tuscolana dove la donna è impegnata sette giorni su sette. E ancora, a dare conto delle giornate di Vale suddivise tra le notti trascorse in discoteca, dove la ragazza si esibisce come ballerina, e i pomeriggi passati insieme ai figli di Eli di cui si occupa in assenza dei loro genitori. Una scelta narrativa quella di Vicari che il regista porta avanti fino alla fine e anche a costo di perdere qualcosa in termini di sintesi e di ritmo; come accade per esempio ogniqualvolta le immagini si ostinano a riproporre i trasferimenti - in pullman e in metrò - che consentono a Eli di raggiungere il posto di lavoro e una volta terminato di tornare a casa.


Considerando che alla prostrazione fisica e psicologica sopportata da Eli si aggiunge ad un certo punto anche lo spettro della malattia, con le complicazioni cardiache di cui soffre la donna che sono la diretta conseguenza di una pratica di vita disumana, registriamo con piacere la mancanza di retorica con cui Vicari guarda al personaggio interpretato dalla commovente Isabella Aragonese. Come pure, e ci riferiamo ancora per ciò che attiene alla fenomenologia dei personaggi, alla Vale di Eva Grieco la cui abilità di performer riesce a non far rimpiangere l'utilizzo di un'attrice professionista (anche se i molti minuti concessi alle riprese delle sue esibizioni sembrano più un omaggio che una necessità). A non funzionare in "Sole, cuore, amore" è però ciò che sta al di fuori di loro e con cui Eli e Vale entrano in contatto; a cominciare dall'incongruenza con cui Vicari sceglie di mostrarne il rapporto amicale; dapprima indirizzato verso un'unisono di cui inizialmente si fa garante il montaggio alterato che - senza soluzione di continuità - mette insieme frammenti della rispettive quotidianità lavorative; e subito dopo smontato pezzo per pezzo da una sceneggiatura che di fatto le mantiene lontane una dall'altra; e che, per giunta, nell'unica volta in cui gli concede di incontrarsi in privato e per un attimo libere da impegni (nella scena situata davanti agli stornelli della metropolitana) lo fa in maniera forzata e quasi con imbarazzo. In un'ottica più generale a emergere è la sensazione di un film schiacciato dalla responsabilità di corrispondere a un modello preesistente attraverso un'esemplarità che si traduce nella mancanza di autonomia dei personaggi secondari, pensati, senza alcuna eccezione, in funzione delle due protagoniste; lampante a questo proposito è il trattamento riservato alla collega di Vale di cui la regia si ricorda solo in occasione della scena lesbo, che coinvolge le due danzatrici - peraltro destinata a risolversi in un fuoco di paglia - per poi riconsegnarla in fretta e furia al suo vistoso anonimato.
(pubblicata su ondacimema.it)

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