venerdì, maggio 27, 2016

JULIETA

Julieta
di Pedro Almodovar.
con Adriana Ugarte, Emma Suarez, Rossy De Palma
Spagna, 2016
genere, melò
durata, 96'


Film, letteratura, arte, design, moda, musica e molto altro trova posto nel pantheon cinematografico di Pedro Almodovar. Ma a pensare bene se c’è una cosa che non manca mai nei fotogrammi del regista spagnolo è proprio la vita; quella degli altri e soprattutto la sua, riversata sullo schermo assecondando ricordi e stati d’animo che abbiamo imparato a condividere attraverso le protagoniste delle sue storie. E il fatto che ognuna delle sue chicas sia la rappresentazione del modo di essere dell’autore più che il ritratto di un personaggio vero e proprio trova conferma nella sproporzione tra la complessità emotiva di Julieta, la protagonista da cui il film prende il nome e, per contro, la flebile consistenza del materiale narrativo, ricavato mettendo insieme tre racconti delle scrittrice Alice Munro. Se, infatti, nel cercare di dire la nostra a proposito di “Julieta” ci appellassimo alla creatività dell’autore rischieremmo di rimanere delusi perché, in questo caso, la fantasia prodotta dalle infinite variazioni di un nucleo centrale forte e ben individuato lascia il posto a una progressione a rebours, in cui ad andare in scena sono i dolorosi eventi che hanno mandato in pezzi l’esistenza della donna, passati in rassegna come lo si farebbe sfogliando le pagine di un album fotografico. Così, se lo scopo della protagonista consiste nel riappropriarsi della parte più dolorosa della propria esistenza, un tempo rimossa ma ora necessaria a fronteggiare la notizia della ricomparsa della figlia Antìa, fuggita anni prima senza lasciare traccia, quello del film è di circoscrivere un ritratto femminile - quello di Julieta - in grado di contenere l’universo poetico ed il sentire del regista. Che, dopo la parentesi ridanciana de “Gli amanti passeggeri” torna alle forme del melodramma e del thriller (esistenziale) per tuffarsi in quell’introspezione, malinconica e intimista, che in “Volver” e la “La mala educacion” era servita per scandagliare il passato dello stesso Almodovar, presente dietro la deformazione del racconto cinematografico.



Rispetto a questi modelli “Julieta” aumenta lo scarto rispetto al cinema spensierato e barocco della prima parte di carriera, quello che procedeva di pari passo con i cambiamenti sociali e di costume della neonata democrazia spagnola. Lontano dal quel clima, appena rintracciabile in qualche eccesso di colore scenografico (l’interno della cabina del treno sulla quale viaggia Julieta  all’inizio del film) e nell’ambiguità sessuale a cui rimanda la mise alla Marlene Dietrich delle ragazze inquadrate di sfuggita nella scena in cui Julieta parla con l’amica di Antìa, a rimanere intatto è il diapason che permette ad un pur esangue e monocorde Almodovar di sincronizzarsi sulle frequenze di un universo femminile che, in assenza di controparti, diventa qui più che altrove la misura delle cose. E dunque dell'amore a cui nonostante il destino avverso Julieta non rinuncia, grazie a una natura che le permette di declinarlo in tutte le forme in cui è possibile donarlo. Il manierismo e la  sovraesposizione che ne derivano più che un difetto sono la legittima conseguenza di tanto prodigarsi. E pazienza se “Julieta” non è all’altezza dei film migliori del regista.   

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