domenica, novembre 01, 2015

KREUZWEG - LE STAZIONI DELLA FEDE

Kreuzweg - le stazioni della fede

di i Dietrich Brüggemann 
con Lea Van Aken, Francisca Weisz
Germania, 2014
genere, drammatico
durata, 114'



Ripercorrendo  i momenti che condussero Cristo in cima al Calvario, “Le stazioni della fede”, film per l’appunto diviso in quattordici capitoli, racconta altrettanti fasi della vita di Maria, quattordicenne cresciuta in una famiglia devota alla società di San Pio dodicesimo, organizzazione religiosa che ha come peculiarità quella di rifiutare ogni punto del Concilio Vaticano II. Facile immaginare come una ragazza di quell’età, divisa tra l’educazione dogmatica più estrema e le turbe adolescenziali, possa subire effetti psichici devastanti derivanti dalla repressione etica/morale inculcatale dalla famiglia.

Ogni capitolo è composto da un’inquadratura fissa – scelta questa che verrà tradita con alcuni movimenti di macchina, seppur necessari, negli ultimi momenti del film, spezzando “l’incantesimo” che fino a quel momento attrae magneticamente chi guarda – eppure c’è una continuità sorprendente rispetto a ciò che dovrebbe apparire spezzato e/o slegato. Continuità data in primo luogo dalla fotografia, che va rarefacendosi parallelamente allo sviluppo drammaturgico, dalla recitazione impeccabile di tutto il cast e, soprattutto, dalla continuità geometrica che sussegue i vari “quadri” che compongono il film. Nonostante il finale sembri quasi forzato nel dover a tutti i costi raggiungere numericamente le fasi della via crucis, la sceneggiatura per buona parte del film regge perfettamente specie nel momento in cui bisogna restituire la dicotomia, cui facevamo riferimento precedentemente, circa l’ambiguità dell’adolescente avviata sulla strada – che sarebbe bene definire vicolo cieco – del dogma.


A rendere interessante - oltre che inquietante - la pellicola s’aggiunge, infine, la rappresentazione di una schizofrenia caratterizzante il fondamentalismo religioso – e quello cattolico, in questo, poco ha da invidiare al “cugino islamico” – andando ad individuare anche all’interno di una tragedia come questa  elementi grotteschi restituendoci un mondo costruito su una complessità troppo spesso data per scontata.
Antonio Romagnoli

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