martedì, novembre 03, 2015

BELLI DI PAPA'

Belli di papà
di Guido Chiesa
con Diego Abantantuono, Antonio Catania, Matilde Gioli
Italia, 2015
genere, commedia
durata, 100'


A voler guardare le cose da un’unica prospettiva ci sarebbe di che preoccuparsi; perché apprendere che uno come Guido Chiesa, capace di imparare il mestiere da gente del calibro di Jim Jarmush e Amos Poe e, in virtù di questo, di girare film che di quei maestri ne possedevano il rigore e la mancanza di compromessi, sia oggi il principale artefice di un prodotto tutto sommato convenzionale e facile come “Belli di papà” non può non far pensare all’ineluttabilità con cui certi meccanismi produttivi finiscano per mortificare le aspirazione dei più volenterosi. Se invece proviamo ad allargare lo sguardo ad altre possibilità che non siano quelle di un cinema duro e puro, magari rifacendosi a quel modo di fare che Chiesa ha conosciuto negli States e che consente anche agli autori più apprezzati di quel paese di concedersi a operazioni di pura speculazione commerciale, allora la faccenda cambia. Perché in questo caso i discorsi intorno al film in questione non dipendono più dal suo grado di parentela che questo con la  precedente filmografia del regista quanto piuttosto dalle modalità con cui l’autore riesce a mantenersi fedele all’onestà del suo sguardo.



Così, con il film ancora ai nastri di partenza la questione principale per Chiesa era quella di non perdere la faccia di fronte ad un modello produttivo che applicava a memoria il format utilizzato da buona parte delle nostre commedie, e che prevedeva tra le altre cose una storia a dimensione privata, incentrata sui risvolti sentimentali scaturiti dalle dinamiche interne a un gruppo ristretto di persone; e ancora un ambientazione che nella necessità di usufruire degli incentivi economici offerti dalla Apulia film commission  si preannunciava come l’ennesima rappresentazione del presepe pugliese. Entrando nei dettagli, “Belli di papà” esibiva un copione incentrato sulle vicissitudini di Vincenzo, imprenditore milanese che nell’intento di dare una lezione ai figli indolenti e viziati finge di trovarsi in bancarotta e con la scusa di dover fuggire dalle grinfie della finanza di obbligare la famiglia di riparare a Taranto  dove i ragazzi si devono confrontare con i sacrifici e le complicazioni della vita lavorativa.


Detto che - incredibile ma vero - i personaggi e le situazioni presenti nel canovaccio di “Belli di papà” non sono il frutto di un’idea originale ma piuttosto l’adattamento di uno sconosciuto film messicano, bisogna dire che il lavoro effettuato da Chiesa per dotare il film di una propria identità può considerarsi riuscito. E questo perché, se è vero che “Belli di papà” non è esente dai difetti tipici di un prodotto costruito per andare incontro ai gusti di un pubblico generalista, e quindi a quelle semplificazioni fatte di clichè e di stereotipi che gli consentono di raccontare situazioni e personaggi immediatamente riconoscibili, allo stesso tempo la regia di Chiesa riesce a dare spazio ad alcuni segni di distinzione che vale la pena di citare; primo tra tutti quello di una scelta paesaggistica meno scontata del solito, in cui il buen ritiro della masserie pugliesi e gli scorci balneari delle coste salentine vengono sostituite da abitazioni in rovina (per esempio la casa natale di Vincenzo decadente e decrepita) e da un degrado urbano che per il fatto di trovarci a Taranto sembra riflettere sulle conseguenze dei danni provocati dalla sconsiderata gestione dello stabilimento dell'Italsider, non a caso presente con le sue ciminiere sullo sfondo di alcune inquadrature. 


E, sullo stesso piano, per esserne la diretta conseguenza del primo, la presenza di una fotografia che diventa espressione di questa precarietà; con le luci contrastate e lo spessore dei colori  che attenuano non poco l’ottimismo e la joie de vivre  normalmente attribuite all'iconografia meridionale. Chiesa scegli dunque una strada meno folklorista e più cinematografica, forte anche della prestazione di un attore mostre come Diego Abatantuono che nel mix di istinto e tempi comici si conferma tra i pochi capaci di avvicinare la tradizione della grande commedia all'italiana. Il film meriterebbe solo per lui ma se si è disposti a cercare il divertimento e il buon umore stanno anche altrove.

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