domenica, novembre 08, 2015

10 FESTIVAL DEL FILM DI ROMA - OURAGAN, L'ODISSE'E D'UN VENT/HURRICANE, A WIND ODISSEY

Ouragan, l'odissee d'un vent/Hurricane, A Wind Odissey
di Cyril Barbacon, Jaqueline Farmer
Francia, 2015
genere, documentario 
durata, 85'



"Enough about you, let's talk about life for a while/
The conflicts, the craziness and the sound of pretenses
falling all around... all around".
- A.Morissette - 


Tra le pieghe di un concetto allo stesso tempo scomodo e cogente come quello della Fine (più volte ricordato altrove), s'annida una delle varianti il cui peso viene spesso ridimensionato a favore di una più subdola quanto perversamente compiaciuta soluzione antropica: il disastro naturale definitivo.

Proprio tale spauracchio, tutt'altro che irrealistico, serpeggia qua e la' e affiora - a tratti - tra le immagini che spiano lo splendore impenetrabile di una primordiale possanza, catturato dal terzetto anglo-francese autore di questo "Hurricane, a wind odyssey", sulle tracce del percorso fisico-geografico segnato dal cosiddetto uragano atlantico: dalle origini sotto forma di pigra brezza a lambire, in un giorno d'agosto, le pianure del Senegal; in crescita rapida lungo il transito oceanico, fino a raggiungere le dimensioni e la potenza - nonché la statura simbolica - di un fenomeno meteorologico di categoria 4, con venti superiori ai 250 km/h (e un occhio centrale azzurro tenue immerso in un'atarassia tutta sua ad una pressione tra gli 880 e i 920 mbar), con le conseguenze sconvolgenti immaginabili, in specie per ciò che attiene gl'insediamenti umani.


Le inerzie stabilite nel corso di milioni di anni secondo uno schema tanto all'apparenza brutale quanto nel profondo insostituibile e - paradossalmente - fragile nel possibile sfasamento delle sue variabili, si rincorrono in sequenze che alternano spesso un ansioso stato di quiete ad una sorta d'ineluttabilità catastrofica la cui spinta fondamentale all'incessante ripristino di un punto di equilibrio - entro cui, date certe condizioni stabilizzate ma fatalmente destinate al decadimento, se ne instaurano senza indugi di nuove, allo scopo di promuovere comunque una rigenerazione (piccoli crostacei sopravvissuti al passaggio del nume, per dire, riguadagnano, furtivi ma decisi, il sentiero dell'acqua) - nella nostra contemporaneità, caratterizzata in via preponderante dalla proliferazione delle attività della specie sapiens a cui, banalmente, corrisponde una costrizione dell'ambito vitale di ogni altro organismo, sembra sempre più virare, per l'anomala interazione delle spinte in campo, verso la manifestazione periodica di brandelli di apocalisse anticipata, nei confronti della quale ci si e' disposti oramai persino con una certa svagata apatia. Non si spiegherebbe altrimenti la costanza - molto più affine, qui, alla stoltezza che alla coerenza - con cui vengono ripristinate, a fronte di quelli che allo stato attuale possono essere considerati veri e propri avvertimenti (l'incidenza generale degli uragani è in costante aumento, così come la dilatazione degli estremi dell'intervallo della loro stagione e la frequenza dei fenomeni più violenti), le inaffidabili consuetudini di partenza. La massa atlantica che devasta Porto Rico, s'abbatte "come un mietitore" su parte del territorio insulare cubano, recupera energia e travolge la zona costiera degli Stati Uniti meridionali (Louisiana), in altre parole, apre di certo la strada ad un cambiamento significativo degli eco-sistemi interessati (nella foresta portoricana - El Yunque - lo sfoltimento di alberi ad alto fusto consente l'esposizione diretta al sole di varietà vegetali rimaste in latenza per decenni) ma, come con chiarezza mostrato, lascia pressoché inerte l'animale umano il quale, o resta - comprensibilmente - attonito di fronte alla devastazione, predisponendosi, però, di fatto, all'ennesima, identica, strategia di ricostruzione, o accumula dati e statistiche, nella vaga prospettiva di stabilire un criterio affidabile di prevedibilità.

Poggiato, come detto, sul doppio binario dell'attesa e della valutazione delle conseguenze, "Hurricane..." propone, in aggiunta, "il dio delle Tempeste" come vero e proprio protagonista della vicenda, soggetto che parla di sè, spiega i propri intenti, adduce motivazioni, ammonisce. Se l'idea è interessante (per quanto non nuova) - modulata, nel caso, nei toni di una suadente voce femminile - da un punto di vista mirato a sottolineare la concretezza vivente di un'epifania naturale, parte della sua realizzazione lo è meno, concertata com'è sui ritmi di una sorta di poeticismo arcadico e sentenzioso (peraltro ricorrente nel documentario naturalistico francese) che, espediente antico ma sempre inefficace, tenta di esorcizzare avvicinandola una forza che non ha la minima possibilità di controllare. Nemmeno, poi, ci fosse ancora chissà quanto tempo...

(Come spesso accade, non determinante il 3D).
TFK


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