giovedì, aprile 14, 2016

10 FESTIVAL DEL CINEMA DI ROMA - MISTRESS AMERICA

Mistress America
di Noah Baumbach.
con: Lola Kirke, Greta Gerwig, Heather Lind, Jasmine Cephas Jones.
USA, 2015 
durata, 85'



"Ogni storia e' la storia di un tradimento", annota ad alta voce Tracy/Kirke, matricola in un college femminile di NY ("ma ci si vedono anche dei ragazzi"), diciottenne intelligente e complicata, desiderosa - e apprensiva, al tempo - d'inserirsi in un nuovo ambiente, come di provare a se stessa la consistenza di ancor imprecise vocazioni (la più pressante delle quali sembra essere la scrittura). Ignorata più che evitata dai coetanei, sola e per sovrappiù respinta alla prova d'ammissione al circolo letterario di cui vorrebbe far parte (gestito da un gruppetto di giovani vecchi pseudo-intellettuali inetti che, manco a dirlo, le bocciano il racconto di presentazione), si risolve, su sollecito della madre, a chiamare la sorella maggiore, diciamo così, in potenza ed in procinto di diventarla in atto e a tutti gli effetti se le già annunciate nozze dei rispettivi genitori andassero in porto. Nell'istante in cui Tracy conosce Brooke/Gerwig, trentenne vulcanica e trascinante, oltre che a trovare sulla propria strada un nuovo eventuale affetto, sperimenta lo schiudersi di un'altra vita nei modi di una facilita' talmente irrisoria da restarne irretita, oltreché turbata. Brooke, infatti, iper-attiva e ciarliera (nello stile tipico di molti personaggi di Baumbach), passa senza soluzione di continuità - e altrettanta impalpabilità di risultati - da serate rock a party di tendenza; da ipotesi di ambiziose ristrutturazioni di appartamenti a molto vaghi propositi letterari: tutto, ovviamente, filtrato attraverso un'incessante attività auto-promozionale in Rete. Come osserva la stessa Tracy: "Brooke pare coinvolta in ogni cosa, eppure non porta mai a conclusione niente". Tale constatazione, tanto caustica quanto sottilmente presaga, comunque, non mina ancora un rapporto troppo giovane per dare spazio esclusivo alla diffidenza. Gli equilibri prenderanno a cambiare sul serio nel momento in cui - sulla scorta dell'entrata in scena di altri caratteri, tutti più o meno sedotti, tutti direttamente o indirettamente in rotazione attorno allo strambo sole di Brooke - naufragherà il di lei progetto del cuore finalizzato all'apertura di un ristorante in cui "ognuno possa davvero sentirsi a casa"; accogliente al punto da pensare di battezzarlo "Mom's". A questa stretta, complice un altro racconto scritto da Tracy - il "Mistress America" del titolo (a sua volta derivato dall'ennesima grande idea mai realizzata di Brooke riguardante un programma televisivo), prendono forma singoli scarti comportamentali, fraintendimenti casuali, equivoci, incomprensioni non esplicitate, che origineranno diverbi sempre più marcati e contribuiranno ad un allontanamento che non sarà facile colmare.


Baumbach, cantore complice di un certo tipo di giovinezza (vedi, per dire, "Mr. Jealousy") e di persone, in generale, in difficoltà nel ritagliarsi un proprio posto e in ulteriore disagio per lo sfiorire dell'età, condizione esistenziale a cui spesso oppongono un non comune senso dell'umorismo utile a condire una logorrea simil-alleniana, immerge le due protagoniste - e i non pochi comprimari - in una fitta trama di duelli dialettici (cadenzati quasi sempre dal synth di una colonna sonora che rimonta fino alla fine degli anni '80), a meta' fra disincanto ironico e slancio autentico operato al fine di trovare il grimaldello giusto per entrare in sintonia con un'altra anima parimenti perplessa, se non smarrita, al cospetto d'un mondo la cui inesorabile velocità risulta un alibi sempre più insufficiente (nonché miserabile) a giustificare l'impossibilità quasi permanente che ottunde il contatto fra individui. In specie Tracy e Brooke verificano su se stesse - ossia sulle proprie aspettative, idiosincrasie, prevenzioni e idee sulle relazioni e sul mondo - il peso derivante da schemi di comportamento non a misura di personalità avvertite ed esigenti le quali, innanzitutto, hanno bisogno di tempo, per limitare, almeno, la scorciatoia di quei piccoli/grandi tradimenti quotidiani che un frainteso principio di efficienza e realizzazione personale ha imposto come comoda via d'uscita da ogni impaccio, sancendo, di contro, nella prassi, il progressivo e inesorabile sgretolamento dei rapporti.



Nella cornice di una NY caotica e avvolta da tinte autunnali (riscontrabili tanto nelle cromie morbide facilitate dalle fonti di luce più ordinarie - porte e finestre - quanto, per dire, dalle gradazioni scure o pastello di molti capi d'abbigliamento), secondo i tempi di una commedia sarcastica e ritmata (85' ca.) e l'incedere più felpato di un dolce-amaro racconto morale, non di rado entrambi contraddetti da screzi improvvisi o da tregue di una malinconia lieve eppure ineliminabile, Baumbach (e la Gerwig, co-autrice della sceneggiatura) trova(no) il modo di compilare il resoconto di un fallimento - il ristorante di Brooke; Tracy finisce per fondare un proprio circolo letterario, nonostante sia stata infine ammessa a quello che l'aveva scartata - senza che ciò implichi necessariamente una sconfitta, bensì la consapevolezza che l'integrità e la fedeltà a se stessi, se esercitate con tenacia, hanno più d'un arma all'attivo per prendersi, al momento giusto, la rivincita su quasi ogni tradimento.
TFK

1 commento:

noipa telefono ha detto...
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