sabato, aprile 18, 2015

FORMULA 1: UNO SPORT AL QUALE LA SETTIMA ARTE NON HA RESO GIUSTIZIA





Il cinema americano, senza distinzione tra quello mainstream e quello indipendente o comunque d'autore, è forse quello che più necessita di attingere dalle proprie risorse e/o condizioni culturali. Tale constatazione, di fatto, è resa palese da un lato con la presenza di opere ed autori che attraverso il proprio contributo sono fondamentali per la lubrificazione degli ingranaggi della macchina cinema, dall'altro con la presa di coscienza che, così facendo, ci si preclude automaticamente la possibilità di far propri e quindi di rielaborare determinati argomenti - che siano momenti storici, opere letterarie o, come nel nostro caso, sport -.

Accade dunque che se una disciplina come la boxe - si vedano i successi, seppur diametralmente opposti, di "Rocky" e "Raging Bull" - o un argomento come le corse d'auto clandestine - si veda la piega poco motoristica che ha preso il franchise  di "Fast 'n' Furious" - si sono prestati con successo alle necessità hollywoodiane, quando s'è trattato di trasporre sullo schermo uno sport come la Formula 1, da sempre tradizione europea, le pellicole venute fuori non hanno lasciato il segno. Si pensi all'operazione - voluta da Sylvester Stallone, inoltre resosi autore della sceneggiatura - che ha portato alla realizzazione di "Driven" (2001), film che diviene sintesi perfetta di quanto s'accennava in apertura. Gli elementi che conducono in questa direzione sono, oltre che evidenti, molteplici: in primo luogo, le informazioni tecniche fornite durante la visione - ad esempio attraverso la telecronaca dei gran premi - apparirebbero come dati di fatto anche al più distratto spettatore europeo; tali indicazioni - come lo zigzagare nel giro di ricognizione per riscaldare le gomme, il prendere la scia per effettuare un sorpasso, etc. - vengono proposte come novità che, probabilmente, per il fruitore americano è necessario apprendere in una maniera che a noi risulta invece goffamente enciclopedica -. Secondariamente, la mancata metabolizzazione culturale s'evidenzia dai riempitivi forzati tipicamente hollywoodiani inseriti all'interno dello script (si veda la predominanza degli intrecci amorosi; gli incidenti spettacolari contro ogni limite imposto dalla fisica; gli inseguimenti con le monoposto da corsa in mezzo al traffico di Chicago). La penuria di titoli riguardanti la massima categoria mondiale degli sport motoristici - tra i quali ricordiamo "Un attimo, una vita" (1977) di Pollack, dove l'intimismo del personaggio di Al Pacino rende la pista poco più che un fondale d'ambientazione, e il più recente ma ugualmente poco riuscito "Rush" (2013) di Ron Howard - è ulteriore sintomo di un'evidente attrito con lo sguardo d'oltreoceano.

Parimenti, è impossibile non notare come invece il cinema europeo si sia tenuto alla larga dal tentare di rielaborare uno degli sport che più appartiene alla propria tradizione, con l'unica eccezione del documentario "Senna" (2010) che andando a sviluppare un nuovo linguaggio - s'elimina infatti l'elemento della voice over, costruendo la narrazione esclusivamente sulle immagini di repertorio commentate dai cronisti o dai protagonisti dell'epoca - ottiene un risultato sorprendente nel raccontare uno dei più grandi piloti che il circus abbia mai conosciuto: non a caso il film ha vinto nelle categorie "miglior documentario" e "miglior montaggio" ai premi BAFTA 2012. Ancora di più difficile spiegazione è, invece, il totale disinteresse, da parte dell'intero apparato produttivo, nei confronti della Formula 1 contemporanea, disinteresse che, visti i personaggi e le situazioni che vi appartengono/vi sono appartenute - si pensi al trionfalismo, questo sì all'americana, di uno come Michael Schumacher, o ad un personaggio "coeniano" come Fernando Alonso che, nonostante sia il pilota più talentuoso della propria generazione, è portato dagli eventi ad essere eletto come l'eterno sconfitto - non può essere giustificato dalla diminuzione dell'elemento spettacolare nella dimensione dei singoli GP.

In attesa dei due biopic, da poco annunciati, riguardanti Enzo Ferrari - uno che vedrà Robert De Niro vestire i panni del celebre costruttore,l’altro che verrà diretto da un certo Michael Mann - sembra assodato che nessuna macchina da presa (ribadiamo che l'unico audiovisivo degno di nota è il documentario "Senna") abbia ancora trovato la giusta angolazione dalla quale inquadrare uno sport sottovalutato sotto troppi punti di vista.
Antonio Romagnoli

3 commenti:

Davide CervelloBacato ha detto...

Non so, l'esempio di Rush secondo me funziona invece. Gli altri film non li ho visti, ma di Rush sono davvero rimasto sorpreso e soddisfatto :) Poi vabè, son sempre gusti.

Antonio Romagnoli ha detto...

Invece credo che "Rush" sia proprio quello meno degno di nota, lo scontro tra Hunt e Lauda è stato ridicolizzato ed i personaggi privati d'ogni sorta di sfumatura.

Cumbrugliume ha detto...

Rush a me è piaciuto molto. Inutile cercarci verità storiche, ma come film mi ha decisamente soddisfatto!