sabato, giugno 30, 2012

Il dittatore

Si può riuscire a far ridere della nostra attualità senza mortificare l’intelligenza dello spettatore. Dopo la visione dell’ultimo film di Sacha Baron Cohen, il nome del regista in questo caso appare veramente superfluo, la risposta non può che essere positiva. Ultimo arrivato in una galleria di personaggi dall’ego iperdotato “Il dittatore” non vuol essere da meno aggiungendo un cotè politico e militare alla ben nota stravaganza fisiognomica e caratteriale a cui il mattatore ci ha da sempre abituato. Ed allora all’insegna del politicamente scorretto e con lo scopo di dissacrare i luoghi comuni della nostra contemporaneità Baron Cohen rovescia l’incipit iniziale riducendo il suo dittatore alla stregua di un comune cittadino quando, dopo essere sfuggito ad un complotto organizzato dal cugino viene sostituito da un sosia e si ritrova a dover sbarcare il lunario a New York dove si era recato per rispondere ad una convocazione delle Nazioni Unite a proposito del sua politica dispotica ed intransigente. Dalle stelle alle stalle e con l’aggravante di una mentalità che non retrocede di un gradino Aladeen si ritrova impiegato in un negozio ecologista gestito da un’ attivista politica che sembra fatta apposta per confermare i suoi pregiudizi sull’occidente e sul sesso femminile. Ma nei film si sa che gli opposti sono destinati a combaciare.

Con il suo corpo sghembo e con una mimica assecondata dall’eccesso estetico – questa volta è la barba a fare la differenza – Baron Cohen come al solito non risparmia nessuno riuscendo a coinvolgere con uno spettacolo tiratissimo (solo 90 minuti, un record di questi tempi) tutto e tutti, dai media messi alla berlina simulando una diretta in cui due giornalisti si impegnano a dare senso alla gestualità spaesata e molto sciroccata del sosia del sovrano, allo Star System messo in mezzo quando dopo una notte d’amore a pagamento con XXXX la telecamera si sofferma su una parete tappezzata dalle foto di altrettante conquiste provenienti da quel mondo, alla natura stessa del potere preso in giro dall’inizio alla fine con una serie di battute fulminanti in cui razzismo, misoginia e gusto del paradosso la fanno da padrone. Una capacità di fare ridere che si potrebbe racchiudere nel gesto con cui il sovrano indica ai suoi sgherri di tagliare la gola di chi non l’aggrada. Un movimento che diventa riflesso incondizionato, e che ricorda per tempismo ed ironia il saluto nazista del dottor stranamore di Stanley Kubrick. Un paragone forse eccessivo ma che serve a sottolineare le potenzialità di un attore pronto per il salto di qualità definitivo.

giovedì, giugno 28, 2012

Film in sala dal 29 giugno 2012

Marley
(Marley)
GENERE: Biografico, Documentario, Musicale
ANNO: 2012  DATA: 26/06/2012
NAZIONALITA': Gran Bretagna, USA
REGIA: Kevin Macdonald

La cosa
(The Thing)
GENERE: Fantascienza, Horror
ANNO: 2011  DATA: 27/06/2012
NAZIONALITA': USA
REGIA: Matthijs van Heijningen Jr.

Qualche nuvola
(Qualche nuvola)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2011  DATA: 27/06/2012
NAZIONALITA': Italia
REGIA: Saverio Di Biagio

I tre marmittoni
(The Three Stooges)
GENERE: Comico, Commedia
ANNO: 2012  DATA: 29/06/2012
NAZIONALITA': USA
REGIA: Bobby Farrelly, Peter Farrelly

Il cammino per Santiago
(The Way)
GENERE: Azione, Commedia, Avventura
ANNO: 2010  DATA: 29/06/2012
NAZIONALITA': USA
REGIA: Emilio Estevez

L'amore dura tre anni
(L'Amour dure trois ans)
GENERE: Commedia, Sentimentale
ANNO: 2012  DATA: 29/06/2012
NAZIONALITA': Francia
REGIA: Frédéric Beigbeder

Take Shelter

(Take Shelter)
GENERE: Drammatico, Thriller
ANNO: 2012  DATA: 29/06/2012
NAZIONALITA': USA
REGIA: Jeff Nichols

Cenerentola
(Cinderella)
GENERE: Animazione
ANNO: 2012  DATA: 30/06/2012
NAZIONALITA': USA

lunedì, giugno 25, 2012

Chernobyl Diaries. La mutazione


“Chernobyl Diaries. La mutazione” (“Chernobyl Diaries”, 2012) è il
primo lungometraggio del regista Brad Parker.
Quando l’esordio dietro la macchina da presa è un horror ci si aspetta
sempre un marchio nuovo e dirompente. Lo spettatore avvezzo (o quasi)
a paure d’effetto, sincopate o simil splatter non si lascia certo
suggestionare ma oramai il ‘fai da te’ sta usurpando il buon vecchio
cinema di puro intrattenimento e di paura agognata dove si vedeva poco
(del/i mostri) e si rimaneva quasi estasiati dell’invisibile e dal
sonoro palpabile per avvicinarsi ad una sequenza minima dove una
piccola ombra già era lì (in)concludente (e il veder tutto era
niente). Non soddisfatto del nulla che si possa immaginare e delle
corsie preferenziali delle (auto)riprese, compresi i superotto di
certi boys che aspirano alla nudità del proprio corpo (cerebrale), la
voglia cinematografica (mai paga) di avere il grande schermo davanti
propina al pubblico in questo inizio d’estate (solo col calendario) le
pellicole ‘solite’ di resto dell’anno e/o di facili suggestioni
giallo-horror per riempire la lista (spesa) di una multisala aperta e
delle poche monosale ancora accaldate per proiettare un film di
ripiego prima dell’arrivo di un blockbuster forte (unico in luglio)
per arrivare al pre-ferragosto. Si deve dire che le promesse
distributive non invogliano affatto (anche il più appassionato) a
vedere certi films di basso costo (in tutti i sensi) nella bassissima
stagione (vuota di idee in partenza). Una tristezza unica.
“Chernobyl Diaries” mi ha incuriosito nel titolo (in inglese) mentre
il sottotitolo italiano lasciava presagire qualcosa di meno
convincente. E questa volta il qualcosa in più distributivo coglie il
segno per una pellicola di valore medio già in partenza e uno
scrittura alquanto semplice e alla fin fine inconcludente. Una
pellicola dignitosamente che vuole volare al ribasso dove i personaggi
sono frammentari(zzati) e le interpretazioni di livello (abbastanza)
infimo. Oramai il propinare il solito gruppo di ragazzi senza-pericoli
per viaggiare dentro una fittizia (auto)distruzione sta diventando un
rituale di molta sceneggiatura di ripiego e di produttori che provano
a cercare l’ago in un pagliaio (negli attori e in una storia che possa
sbarcare il lunario degli incassi per un successivo film).
Purtroppo c’è poco da dire. I primi venti minuti sono solo di
proforma, tirati via con grande ‘chalance’ dove le caratterizzazioni
sono tirate via (un po’ alla grossa). Eppure le motivazioni per una
migliore introduzione c’erano tutte ma la voglia di spender poco (il
basso costo a oltranza porta alla autodistruzione non già il gruppo
all’arrembaggio ma il film stesso) nella pochezza della voglia di
girare un film di un certo gusto e livello. Poi il rituale diventa
risaputo. Un furgone che non riparte, l’autista fatto fuori, la notte
che incombe in una città desolata (Pripjat) piena di incubi irreali e
di mostri veri tutto in una successione di eventi con una tensione
horror convincente quando la fuga è solitaria (è la cinepresa il
mostro) con una torcia che buca il buio totale mentre diventa
(assolutamente) banale quando lo scontro ragazzi-paure vuole diventare
serio e veritiero. Tutto, in questo caso, appare scontato, accumulante
e, semplicemente, modesto e insulso. Il finale (ultimo minuto, che non
dico) appare senza significato e irrilevante: si aggiunge qualcosa che
vorrebbe essere macabro irridendo il mondo ospedaliero (sovietico) in
un contesto narrativo oramai alla deriva e raggrumato di stupide
brutture.
Un gruppo di ragazzi (da quattro in origine alla partenza si aggiunge
la solita coppia d’amore in cottura più l’autista dell’agenzia per
viaggi estremi –unica per il film- gestore unico di se stesso) vuole
fare una vacanza (già poco indicativa all’origine) nella città ucraina
di Pripjat divenuta fantasma dopo l'esplosione del reattore della
centrale atomica di Chernobyl nel 1986 (la notte del 25 aprile il
reattore n* 4 inquina e annienta il nondo circostante). Il film è
stato girato in altri luoghi e in posti ‘amichevoli’ per raccontare il
massacro che portò il disastro nucleare e tutto va bene meno che
indagare sul vero post-Chernobyl. I sei baldanzosi Paul (Jonathan
Sadowski), Chris (Jesse McCartney), Amanda (Devin Kelley), Natalie
(Olivia Dudley), Michael (Nathan Phillips) e Zoe (Ingrid Bolso Berdal)
con l’aggiunta di Uri (Dimitri Diatchenko) vogliono a tutti i costi
superare il confine off-limits della città di Pripjat. Dopo un
tentativo regolare (controllato dalla polizia) il gruppo passa,
percorrendo una strada imboscata, una recinzione lontana da facili
controlli. L’inizio è di reportage-foto-incredulità e di qualche
disillusa risata fino a quando il gioco scherzoso di una vacanza e la
fuga rapida dal posto si trasformano in un incubo costretti a rimanere
nella notte della vita fantasma. Il piccolo pullmino è in avaria (e sì
che i fili di accensione qualcuno li avrà tagliati…) e Uri crede in un
batter d’occhio di controllare la situazione (“telefona
all’agenzia”..,..”sono l’unico socio”..,..”ma quella è una
pistola”..,..”calma…vi porterò fuori…”…) ma strani rumori cominciano a
sentirsi e fare la perlustrazione notturna non è il massimo… infatti
alla ‘spicciolata’, con annessa suspense ‘limitata’, il gruppo si apre
al buio dei fantasmi (‘sono ignari di quello che può capitare’ o ‘non
avranno mai visto un’horror quadritico’!?) e le cose si mettono male.
Riuscirà a salvarsi qualcuno?”! Domanda quasi retorica. Ci sono orsi,
cani, lupi, radiazioni, malati, fantasmi e incubi dapertutto. In bocca
al lupo…verrebbe da dire. Mai augurio più illogico! Per un sequel ci
saranno i morti viventi in ogni dove figurarsi a Chernobyl.
Il produttore Oren Peli (il regista di ‘Paranormal Activity’ del 2007)
conosce bene le regole per pellicole giovanili e la serialità del
genere ‘paranormal’: tutto ciò lo ha portato ad un ennesimo prodotto
rimasuglio di altri (naturalmente) con convenzioni, grida, corse, buio
e banalità risapute. Il fatto di (auto)vedersi (e di mostrarci in
registrata) in una ripresa durante la foga dell’eccitazione e dalla
fuga del pericolo lascia intendere che il film è poco serio e
l’autoreferenzialità del prodotto è già implicita prima ancora della
tecnica del video turistico d’esportazione. Un qualcosa di poco serio
e approssimato nella tracciabilità dei personaggi, nella scrittura e
in una recitazione inconcludente e, quasi, per caso. Un gesto da
pellicola inerme, labile e solo ‘alimentare’ dove manca un certo
approfondimento di ciò che si vede (ma qui le intenzioni mancano già
da subito) e una sfaccettatura (auto)ironica. Il senso di
paura-spettatore arriva ma è fine a se stessa: non ci sono risvolti.
Un continuo inseguimento (per carità due o tre sequenze si ricordano
alla minima luce) che finisce in un tu per tu imprevisto (per i
ragazzi…) ma facilmente prevedibile.
Gli attori fanno quello che possono ma è d‘obbligo chiudere il
discorso su ogni battuta che dicono. Le grida fanno il resto. La regia
di Brad Parker è mediocremente insulsa a discapito dei luoghi scelti
(avamposti giusti) e delle fotografia che regge la messa in scena (non
certamente di livello o meglio non valorizzata).
Voto: 5-.
(recensione di loz10cetkind)

Kino Village Estate 2012

In un susseguirsi di eventi presentati in anteprima assoluta, di piccoli gioielli recuperati ad una distribuzione distratta  e di prestigiose riproposizioni,  l'offerta cinematografica del Kino Village, la rassegna ospitata da Roma Vintage al Parco San Sebastiano (Piazzale Numa Pompilio) di Roma prosegue senza perdere un colpo, e noncurante dei grandi happening mediatici che le fanno concorrenza propone  lunedì 25 giugno alle ore 21.00,  un evento musical-cinematografico all'arena all'aperto del Kino Village, con la proiezione del film Metropolis, capolavoro del cinema espressionista diretto nel 1927 da Fritz Lang con accompagnamento musicale dal vivo con i musicisti jazz Leonardo Cesari alla batteria ed elettronica e Daniele Pozzovioal pianoforte. Ingresso 5 euro.

"Vista l'incredibile modernità di Metropolis - dichiarano i due musicisti - il materiale che abbiamo utilizzato per sonorizzare il film prende spunto un pò da tutta la musica del Novecento. Quindi passeremo da momenti 'hollywoodiani', con quella particolare predilezione per la spettacolarizzazione del suono, con riferimenti al cinema epico, a episodi di pura improvvisazione, a momenti di musique-concrete, con lavoro sui parametri del suono come attacco sonoro, durata, densità di massa sonora, andamento, arrivando fino alla musica atonale o alla cosiddetta musica eurocolta e al jazz, cercando così di disegnare un ponte sonoro che inglobi le principali correnti musicali del Ventesimo secolo, esaltando l'attualità delle immagini lavorando su di un linguaggio espressionista ricco di contenuti sociali drammatici".

www.ilkino.it

venerdì, giugno 22, 2012

Biancaneve e il cacciatore


L'unica costante è il cambiamento. L'affermazione del celebre motto buddista è una verità che in qualche modo interessa anche la mecca Hollywodiana per la necessità di restare al passo di una realtà sempre più fluida. Così se da una parte rimane intatto l'obbligo di rispettare le regole del business affidandosi a prodotti strasicuri, capaci di rimpinguare le casse degli investitori, dall'altra diventa sempre più pressante la necessità di rivestire di novità un'offerta destinata ad un mercato che si annoia facilmente.
Assecondando questa tendenza arriva sugli schermi un nuovo ibrido che mette insieme antico e moderno, stiamo parlando di "Biancaneve e il cacciatore" figlio di quel filone fantasy che ultimamente aveva segnato un pò il passo e che invece viene rilanciato da un prodotto che si affida all'estetica legittimata dal successo planetario de "Il signore degli anelli" con eroi ed eroine catapultati in un medioevo misterioso e fantastico animato da personaggi, luoghi e situazioni immortalati nella fiaba dei fratelli Grimm. Seguendo con i dovuti aggiornamenti il famoso canovaccio e lavorando soprattutto sull'aspetto iconografico, dallo specchio delle mie brame che si trasforma a comando in un oracolo in carne ossa ai sette nani disegnati sulle fattezze dei mitici Hobbit, per non parlare della componente magica e fantasmagorica legata al paesaggio naturale capace di incarnare il bello ed il brutto dell'immaginario favolistico, "Biancaneve ed il cacciatore" si sviluppa come una storia di formazione in cui il ritorno al trono della giovane principessa, estromessa dalla strega demoniaca (una Charlize Theron perfettamente calata nel ruolo) da vita ad un confronto tra buoni e cattivi in cui amore e amicizia della protagonista e della sua corte di amici si confrontano con il tradimento e la vendetta simboleggiate dai propositi della infida usurpatrice, determinata a sbarazzarsi di chiunque possa mettere in pericolo il primato della sua eterna giovinezza. 

Uno spettacolo che non si ferma all'assemblaggio delle singole componenti ma che continua, almeno per il pubblico più giovane, con la presenza a tutto campo dell'attrice del momento, quella Kristen Stewart a cui basta mettere la faccia per ricordare atmosfere e condizioni alla Twilight: il film non a caso la mette nei panni della fanciulla da salvare, ricreando quell'agonismo da cavalier servente già appartenuto alla saga vampiresca e che qui si rinnova, ripulito della tensione sessuale praticamente inesistente, attraverso le figure del cacciatore (il Chris Hemsworth di Thor) un cane sciolto dotato di talentuose virtù guerresche, ed un principe azzurro, convenzionale ma fedele alle esigenze salvifiche stimolate dalla bella principessa. Chi è cresciuto con la favola di Biancaneve si divertirà a riconoscere gli aggiornamenti della fiaba, mentre il pubblico più giovane, a cui il film appartiene di diritto, non mancherà di entusiasmarsi.    

giovedì, giugno 21, 2012

FILM IN SALA DAL 22 GIUGNO 2012

Chernobyl Diaries - La mutazione
(Chernobyl Diaries)
GENERE: Horror, Thriller
ANNO: 2012  DATA: 20/06/2012
NAZIONALITA': USA
REGIA: Bradley Parker

Rock of Ages
(Rock of Ages)
GENERE: Commedia, Drammatico, Musical
ANNO: 2012  DATA: 20/06/2012
NAZIONALITA': USA
REGIA: Adam Shankman

Chef
(Comme un chef)
GENERE: Commedia
ANNO: 2012  DATA: 22/06/2012
NAZIONALITA': Spagna, Francia
REGIA: Daniel Cohen

Detachment - Il distacco

(Detachment - Il distacco)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2012  DATA: 22/06/2012
NAZIONALITA': USA
REGIA: Tony Kaye

Un amore di gioventù
(Un amour de jeunesse)
GENERE: Drammatico, Romantico
ANNO: 2011  DATA: 22/06/2012
NAZIONALITA': Germania, Francia
REGIA: Mia Hansen-Løve

mercoledì, giugno 20, 2012

Hunger



Le polemiche e le discussioni sollevate all'uscita dei film che ricostruiscono la recente cronaca italiana impallidiscono di fronte all'esperienza che si prova durante la visione di Hunger il primo film di Steve Mc Queen recuperato con molto opportunismo ma sempre recuperato dalla distribuzione italiana in seguito al successo veneziano (Shame) dell'accoppiata Fassbender/Mc Queen. Se nel nostro paese si invoca un cinema che faccia nomi e cognomi, ricordiamo la polemica di Vittorio Agnoletto rispetto alla versione dei fatti presentata da Daniele Vicari nel suo "Diaz" da altre parti quello che ci si aspetta dal cinema è la sua forza di rievocare la tragedia, di dargli una faccia capace di rimanere impressa al di là dell'episodio contingente. Si cerca in sostanza di oltrepassare i confini nazionali per puntare all'universalità degli effetti. Come succede nell'ultimo film di Steve Mc Queen che rievoca senza mezzi termini gli ultimi giorni di Bobby Sands, il militante dell'ira morto a causa di uno sciopera della fame attuato per ottenere lo status di prigioniero politico negato dal governo inglese ai rappresentati del movimento indipendentista irlandese. Al centro del film infatti non c'è una causa politica o la ricostruzione di un epoca ma un uomo che lotta per la sopravvivenza di se stesso e dei suoi diritti. Una situazione paradigmatica che Mc Queen ricostruisce spazzando via ogni orpello ed affidandosi ad una rappresentazione al tempo stesso reale e metaforica. Bobby Sands ed i suoi compagni sono infatti personaggi di una consistenza fisica continuamente ribadita nella sofferenza dei corpi scavati e nei volti emaciati dalla fame, ma contemporaneamente diventano espressione di una condizione quella umana destinata a soffrire, inevitabilmente votata al martirio ed alla morte, come sottolineano le immagini cristologiche di Sands/Fassbender morente ma anche quella dell'uccisione di uno degli aguzzini freddato mentre è inginocchiato davanti alla madre, una postura in grado di riassumere assieme alla modalità della ricostruzione (tutto avviene in maniera veloce e consequenziale) l'accettazione di un destino ineluttabile. Ma anche gli spazi, ridotti al minimo e concentrati all'interno di un unico luogo, la prigione, riprodotta nel suo carattere spoglio e degradato, perimetro all'interno del quale vengono esercitate funzioni umane primarie e basiche, ed allo stesso prigione dell'anima, allegoria di una cattività vissuta nella speranza di una redenzione collettiva, quella di un popolo che lotta per affermare la propria indipendenza.
Mc Queen filma con una modernità che si colora d'antico con riferimenti pittorici perfettamente integrati nella pulizia dei movimenti di macchina, in un equilibrio formale che è lo stesso di quello emotivo, continuamente sospeso tra referto e tragedia. Fassbender è monumentale in un ruolo non solo fisico. Chi lo circonda non è da meno, concorrendo a costruire un opera di straordinaria potenza.

martedì, giugno 19, 2012

Le paludi della morte


Non è sempre una questione di stile e neanche di contenuti. Talvolta le ragioni del cinema sono influenzate in maniera determinante dagli aspetti personali. Insomma ognuno di noi ha la sua storia. Quella di Ami Canaan Mann, figlia del più famoso Michael è quasi un classico nel mondo del cinema perché seguire le orme paterne, accontentarsi di ricreare l’universo nel quale si è cresciuti appartiene alla logica delle cose specialmente quando si è chiamati a confermare il talento del casato. Un dazio da pagare nella prospettiva di un indipendenza che nel caso della regista americana e del suo “Le paludi della morte” (The Texas Killing Field)è ancora lungi dall’essere conquistata. Se infatti la caccia al serial killer con i risvolti morbosi ed esistenziali di cui si colora l’indagine degli agenti Mike e Brian è una dei luoghi più sfruttati dal cinema di genere la stessa cosa si potrebbe dire per quanto riguarda gli aspetti formali della sua realizzazione che riprendendo molti degli stilemi del famoso padre, dall’uso della telecamera digitale efficace soprattutto nella profondità delle riprese notturne di cui il film è pieno alla pulizia di un immagine di geometrica precisione ed anche nella presenza di un paesaggio utilizzato alla maniera del western con le figure umane che sembrano attraversarlo per farcelo scoprire, disegnano l’ennesima parabola salvifica costellata di morti e resistenza umana. 

Caratterizzato da un andamento meditabondo e quasi compassato il film si accende ogni tanto con sparatorie urbane che ricordano l’assedio di Fort Apache oppure in qualche scena di tensione come quella esemplare che a metà del film fa trepidare lo spettatore nella visione di una assalto casalingo in cui una donna con figlioletto è minacciata da misteriosi assalitori. Un mestiere a cui non manca la tecnica ma che avrebbe bisogno di maggiore esperienza per acquisire sostanza. In questo modo gli aspetti legati alla detection, peraltro indeboliti in termini di tensione dalla presenza parallela di due filoni investigativi, quello legato alla morte di una donna di colore e l’altro dedicato ai cadaveri ritrovati nella palude del titolo, finiscono per non integrarsi con i ripetuti scorci paesaggistici oppure con i momenti dedicati all'analisi introspettiva dei protagonisti problematici come si conviene a questo tipo di storie. Il risultato è dispersivo, frammentato, con la ricerca dell'assassino continuamente interrotta da spaccati di vita urbana e sociologia da umiliati ed offesi che non riescono ad incidere. Gli attori fanno il loro mestiere. Jessica Chastain in un altro ruolo da dura è costretta ad un ruolo simil cameo.

PAURA 3D

Tre giovani amici della periferia romana si ritrovano tra le mani le chiavi di una bella villa appartenente al facoltoso Marchese Lanzi (Peppe Servillo), fuori per il fine settimana per un raduno d’auto d’epoca.
I tre non resistono alla tentazione di passare due giorni indisturbati nel lusso, ma una volta entrati nella villa uno di loro farà una terribile scoperta.
A soli due mesi dall'uscita di L'arrivo di Wang (pochissime copie per un lavoro che meritava molta più visibilità) i Manetti Bros, paladini italiani del cinema di genere a basso costo (Zora la vampira - Piano 17 - L'arrivo di Wang e la serie Tv L'ispettore Coliandro), con cinque attori e un paio di comparse si lanciano nel genere horror con la loro tradizionale cifra stilistica che comprende una buona dose di ironia, trame compresse in ambienti chiusi e tanta professionalità. 

C'è da dire che la trama è per lunghi tratti canonica (altrimenti non sarebbe cinema di genere),  le strategie usate hanno un sapore un po' datato e soprattutto i protagonisti in almeno un'occasione si comportano in maniera stupida,  ma in fin dei conti è quello che ci si aspetta dai Manetti Bros e dal loro cinema artigianale.

D'altro canto però ci sono parecchi meriti da riconoscere come la  particolare cura per la dimensione psicologica dei personaggi, la regia mai convezionale, l'uso non banale del 3D e i meravigliosi titoli di testa. 
Paura 3D probabilmente è il lavoro meglio curato e studiato di tutta la filmografia di Marco e Antonio Manetti e a differenza de L'arrivo di Wang e soprattutto di Piano 17 gode di una distribuzione (Medusa) massiccia e sarà messo nelle condizioni di raggiungere una platea più vasta del solito, altrimenti composta quasi esclusivamente dai fan dei fratelli romani.

In definitiva, l'ultimo lavoro dei Manetti, ispirato alla vicenda di Natascha Kampusch, è destinato a non entusiasmare gli appassionati del cinema horror di ultima generazione, ma è senza dubbio in grado di soddisfare il palato dagli amanti del glorioso cinema di genere italiano '60-'70, che sapranno apprezzare l'intelligenza, il coraggio di osare, l'artigianalità e il politicamente scorretto dei fratelli capitolini, gli unici in grado di far arrivare sugli schermi pellicole di genere in un Paese dove si girano quasi esclusivamente commedie (brutte) o film d'autore.    

Ottimo Peppe Servillo (fratello di Tony e cantante degli Avion Travel) che grazie alla sua fisicità e al sapiente uso della voce rende indimenticabile il personaggio del Marchese Lanzi, mentre Lorenzo Pedrotti  con la sua cadenza nordica risulta poco credibile come romano (nessuno degli attori lo è).

Infine una curiosità per cinefili: il film che i tre protagonisti guardano in tv all'interno della villa del marchese è I corpi presentano tracce di violenza carnale diretto nel 1973 da Sergio Martino, fratello di Luciano Martino fondatore della Dania Film che coproduce Paura 3D.

giovedì, giugno 14, 2012

film in sala dal 15 giugno 2012

Locandina: La Bella e la Bestia in 3D
La Bella e la Bestia in 3D
(Beauty and the Beast 3D)
GENERE: Animazione
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Gary Trousdale, Kirk Wise

21 Jump Street
(21 Jump Street)
GENERE: Azione, Commedia, Poliziesco
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Phil Lord, Chris Miller

Adorabili amiche

(Thelma, Louise et Chantal)
GENERE: Commedia
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Stéphane Aubier, Vincent Patar

Benvenuto a bordo
(Bienvenue à bord)
GENERE: Commedia
NAZIONALITÀ: Francia
REGIA: Eric Lavaine

C'era una volta in Anatolia

(Bir Zamanlar Anadolu'da)
GENERE: Drammatico
NAZIONALITÀ: Turchia
REGIA: Nuri Bilge Ceylan

Il Dittatore
(The Dictator)
GENERE: Commedia
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Larry Charles

Le paludi della morte
(Texas Killing Fields)
GENERE: Drammatico, Thriller
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Ami Canaan Mann

Paura
(Paura)
GENERE: Horror
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Marco Manetti, Antonio Manetti

Venti anni
(Venti anni)
GENERE: Documentario
NAZIONALITÀ: Italia
REGIA: Giovanna Gagliardo

domenica, giugno 10, 2012

Kino Village Estate 2012

Roma – 15 giugno / 15 agosto 2012

Parco di San Sebastiano 2 (P.LE NUMA POMPILIO) – ROMA
Tutte le sere dalle 20 alle 2

Inizio proiezioni ore 21
Ingresso proiezioni: 5 euro
Film stranieri in versione originale sottotitolata
Dal 15 giugno al 15 agosto il Kino lo trovate a Parco San Sebastiano, vicino alle terme di Caracalla. Due mesi di anteprime, incontri, esordi italiani e film stranieri indebiti o poco visti.
La programmazione -  anche su www.ilkino.it www.ilkino.it - sarà strutturata seguendo la stessa ispirazione del Kino invernale: si apre quindi con KinoEsordi: uno sguardo sulle opere prime del nuovo cinema italiano, aperto dal regista Roan Johanson che verrà a presentare con Claudio Santamaria il suo I Primi della lista (15 giugno). Quindi il pluripremiato Io sono Li di Andrea Segre (26 e 30 giugno), e Napoli24 (21 giugno), film collettivo composto da 24 corti che raccontano la città di Napoli attraverso lo sguardo di 24 registi, tra cui Paolo Sorrentino.
Il cinema internazionale alternerà anteprime e film distribuiti poco, che il Kino propone di riscoprire: The Future di Miranda July (per cui il Kino ha la distribuzione esclusiva per l’Italia, il 16, 17, 27, 29 giugno), lo straordinario 13 Tzameti di Gela Babluani, vincitore nel 2006 del Gran Premio della Giuria al Sundance (22 e 24 Giugno), il film-documentario di Banksy Exit through the gift shop (18 e 28 giugno), Tomboy (C. Sciamma. 23 giugno), About Elly (A. Farhadi. 24 e il 30 giugno), primo film del regista di “Una separazione”, vincitore nel 2009 dell’Orso d’Argento a Berlino.
Completano il quadro il mockumentary Il Mundial Dimenticato di Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni: cosa sapete di un campionato del mondo di calcio giocato in Patagonia nel 1942? Niente? Allora venite a vederlo il 17 e il 19 giugno…E, proiettato in contemporanea in tutta Italia grazie ad Amnesty International e OSF, per la giornata mondiale del rifugiato, il 20 giugno Mare Chiuso, di Andrea Segre e Stefano Liberti, che racconta il dramma dei respingimenti nel canale di Sicilia.
Il 25 giugno un grande evento speciale: i musicisti jazz Leonardo Cesari alla batteria ed elettronica e Daniele Pozzovio al pianoforte per il concerto dal vivo durante la proiezione del visionario  Metropolis, capolavoro espressionista di Fritz Lang, che dal 1927 ha ispirato registi e sceneggiatori, citato in film quali “Blade Runner”, “Brazil”, “Guerre stellari” e “Matrix”.Per info e prenotazioni: 
cell. 366 4571726
info@ilkino.it
www.ilkino.it



sabato, giugno 09, 2012

Love & Secrets



Se il male è di per sè ineluttabile "All good things", il nuovo ed inedito (in Italia) film di Andrew Jareki ne è la conferma più lampante. Partendo da una vicenda realmente accaduta e conclusasi con l'assoluzione dell'imputato, l'imprenditore Robert Durst trasfigurato nell'inquietante figura di David Marks (Ryan Gosling), sospettato di aver ucciso la giovane moglie e di averne occultato il cadavere, l'equivalente filmico è una ricostruzione dei fatti condizionata dalla mancanza di una prova accusatoria. Una condizione che sposta i contenuti sul piano dell'ipotesi, permettendo al cinema di soddisfare il principio ordinatore che lo sottende nella logica impazzita di un uomo danneggiato.

Così se dà una parte la narrazione procede dalla deposizione giurata del protagonista, chiamato a rispondere non solo dell'uxoricidio ma anche di un'altra serie di omicidi che a quello si legano, dall'altra il film si sviluppa in maniera autonoma, seguendo un percorso che usa il punto di vista dell'accusato come contraltare di una colpevolezza affermata senza ombra di dubbio. Se la fine è nota Jareki cerca di fare luce sullo stato delle cose, ripercorrendo i momenti di un'unione, quella tra Mark e Katie, nata dal tentativo del primo di sottrarsi dalla grinfie di un padre padrone (un regale Frank Langella), e da un infanzia funestata dal suicidio della madre di cui egli stesso è stato infausto testimone. Un connubio inizialmente felice, e poi messo in crisi dal progressivo deteriorasi dello stato psicologico dell'uomo, compresso dagli obblighi derivati da un lavoro non amato (per conto del padre è addetto alle riscossioni degli affitti in un quartiere malfamato), e tormentato dalla paura di non essere all'altezza di un matrimonio con una donna che lo ama veramente. Conseguenze inevitabili che non tardano a manifestarsi in una distanza affettiva che si traduce in violenza quando Katie è sul punto di lasciarlo.

Jareki che aveva già affrontato le disfunzioni familiari nel pluripremiato e drammatico "Capturing the Wiseman", documentario indagine sulla scoperta di un'orribile nefandezza, tenta di far convivere l'oggettività dello sguardo con le esigenze delle altre componenti, drammaturgiche ed anche cronachistiche (la riapertura del processo occupò le prime pagine dei giornali). Una commistione evidente nella struttura del film, tripartita in altrettanti prospettive: del protagonista nei brevi in­serti del processo ripresi con primi piani ravvicinatissimi, del regista nell'esposizione dei fatti raccontati con largo uso di campi medi e lunghi che sottolineano la ricerca di una distanza emotiva, di genere, il giallo psicologico a cui il film si rifà con atmosfere sospese nella sensazione di un pericolo incombente, successivamente affermato in maniera plateale, quasi un omaggio al De Palma di "Dressed to kill" per un ambiguità ottenuta giocando sull'aspetto estetico del soggetto, nella scena in cui una figura misteriosa si disfa in maniera furtiva di un fardello dal contenuto che potrebbe collegarsi alla scomparsa di Katie. Con la telecamera che nell'assenza di movimento restituisce l'anaffettività di un personaggio imprigionato dentro i propri incubi, Jareki evita di soffermarsi sulle ragioni di tale violenza, appena accennate nel tormentato rapporto con una figura paterna castrante e dominante, per lasciare spazio alle conseguenze. Il male omesso dallo schermo per l'assoluta assenza di scene cruente vi rientra attraverso lo sguardo assente di Ryan Gosling, qui alle prese con una delle sue performance migliori insieme a quelle di "The Believer" e "Hal Nelson". E' lui, presente dall'inizio alla fine ed impegnato in una parte complicata da aspetti anagrafici — la storia si sviluppa in un arco di tempo di circa 30 anni — e contingenti — per cercare di farsi dimenticare Marks arriverà persino ad inventarsi un identità femminile-, supportato da una convincente Kirsten Durst a cui spetta il compito di esplicare gli stati d'animo del film, il valore aggiunto di un opera penalizzato da complicazioni produttive che in parte ne hanno ridotto la distribuizione. In mezzo a tante uscite da dimenticare questo è un film da non lasciarsi scappare.

venerdì, giugno 08, 2012

film in sala dall'8 giugno 2012

La vita negli Oceani
(Océans)
GENERE: Documentario
ANNO: 2009  
NAZIONALITÀ: Svizzera, Spagna, Francia
REGIA: Jacques Perrin, Jacques Cluzaud

Project X - una festa che spacca
(Project X)
GENERE: Commedia
ANNO: 2012  
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Nima Nourizadeh

7 days in Havana
(7 días en La Habana)
GENERE: Drammatico
ANNO: 2012  
NAZIONALITÀ: Spagna, Francia
REGIA: Benicio Del Toro, Laurent Cantet, Julio Medem, Elia Suleiman

La mia vita è uno zoo
(We Bought a Zoo)
GENERE: Commedia, Drammatico
ANNO: 2011  
NAZIONALITÀ: USA
REGIA: Cameron Crowe

W.E. - Edward e Wallis

(W.E.)
GENERE: Drammatico, Romantico
ANNO: 2011  
NAZIONALITÀ: Gran Bretagna
REGIA: Madonna

La carica dei 101
(101 Dalmatians)
GENERE: Animazione, Commedia, Avventura
ANNO: 2012  
NAZIONALITÀ: USA

giovedì, giugno 07, 2012

Men in Black 3


Gli anni 60 sono di moda nelle ultime produzione targate USA che sistematicamente ritornano a quel periodo con citazioni ed omaggi che fanno di quegli anni il punto di non ritorno delle disgrazie contemporanee. A questa tendenza non si sottrae neanche l’ultimo capitolo di “Men in Black”, la saga degli agenti J e K giunta sullo schermo per continuare a divertirci con le avventure della strana coppia di agenti alle prese con delinquenti extraterrestri  e per rivelarci qualcosa di più sul legame che unisce i due strampalati protagonisti. Così con il pretesto di un viaggio nel tempo organizzato in fretta e furia da J per riportare in vita il socio – senza le opportune modifiche il collega morirebbe nel 1969, ucciso da Boris la bestia, cattivo schifiltoso e fautore di un invasione extraterrestre – il film si lascia indietro gli scenari contemporanei per approdare alle atmosfere calde e nostalgiche di una New York colta alla vigilia del lancio della navicella spaziale destinata a sbarcare sulla luna. In uno scenario adibito a festa per l’epocale evento, tra combattimenti e salvataggi all’ultimo minuto in cui ancora una volta il film metterà in mostra invenzioni intrise di una modernità molto vintage il terzo capitolo di “Men in Black” riesce a costruire la sua parte migliore, accostando all’ironia ed al gusto dissacratorio che da sempre costituisce il marchio della casa anche momenti che lasciano spazio ad una costruzione dei personaggi dalle tonalità dolce amara. Tra conferme e nuove entrate si segnala quella di Emma Thompson nel ruolo dell’agente O il nuovo capo dell’agenzia con cui K nel passato potrebbe aver avuto una relazione e di Josh Brolin (“Non è un paese per vecchi”,2007) la versione giovanile del personaggio interpretato da Tommy Lee Jones che l’attore riesce a rendere credibile nei suoi tratti distintivi. Uno spettacolo che forse scontenterà i giovanissimi per la diminuzione dell’elemento spettacolare e stravagante rappresentato dagli effetti speciali collegati dalla presenza dei multiformi visitatori ma capace di rinfrescare con un serie di spunti come la scoperta di un passato comune che unisce la coppia il pedigree un pò usurato dei due protagonisti.

mercoledì, giugno 06, 2012

Margaret


Parlare di New York e delle persone che la vivono ogni giorno, descriverne i rapporti senza falsare la distanza che le separa una dalle altre. Un problema di prospettiva che nel cinema diventa anche una questione di sostanza. Il rispetto del dramma vissuto da una città ancora nel terrore per una tragedia epocale si può tradurre nella voglia di narrare la condizione degli uomini e il loro malessere dall'interno, eliminando il contorno e rovesciando sullo schermo gli abissi oscuri dell'animo umano, oppure mediare tra ciò che sta fuori, il mondo con la sua alterità, e quello che invece gli scorre dentro, la vita con le sue contraddizioni.
Per raccontare il senso di colpa di una ragazza che si sente responsabile dell'incidente stradale che ha provocato la morte di una donna, Kenneth Lonergan sceglie la seconda e lo fa descrivendo non solo i tentativi della protagonista di ristabilire la verità dei fatti, con l'intento di far licenziare l'autista dell'autobus che ha investito la sfortunata passante, ma anche il paesaggio in cui si compie questo percorso, le strade i palazzi e le persone. Una miscela incandescente destinata a deflagrare quando si verifica il misfatto e in grado di restituire un pezzo di umanità perfettamente calata nel suo tempo e che reagisce sullo schermo come lo farebbe se quella situazione stesse realmente accadendo. Così Lonergan, dopo averci introdotto nell'esistenza ordinaria e apatica di Lisa/Anna Paquin, una studentessa particolare (la vertiginosa minigonna indossata durante la lezione e la franchezza con cui risponde al professore che la rimprovera lasciano intendere una consapevolezza al di sopra della media), mette in moto il destino che si manifesta con un dettaglio trascurabile - la ragazza, interessata allo stetson del conducente, lo distrae facendogli perdere il controllo della situazione - ma capace di determinare un nuovo inizio.
Da quel momento in poi la ragazzina, un po' cresciuta ma confinata dentro il limbo dell'adolescenza, si confronterà con la crudezza del mondo attraverso un'esperienza che porterà a galla un grumo di insoddisfazioni personali che, tanto nel mancato rapporto genitoriale (la madre è un'attrice preoccupata per la sua carriera, il padre risposato e lontano non riesce ad andare oltre un'educazione piena di luoghi comuni), quanto in quello con gli adulti, rappresentato da coloro che in qualche modo saranno investiti dalle conseguenze di quella morte, risulterà drammaticamente conflittuale.

In maniera coerente Lonergan mette in scena un dramma che non si esaurisce nelle facce dei personaggi e negli scarti psicologici che, progressivamente ma in maniera netta, li fanno evolvere - l'apprendistato sessuale di Lisa che passa dal coetaneo già svezzato al professore abilmente sedotto, o, ancora, la decisione della madre di riscoprire la propria femminilità accettando le avance di un suo ammiratore - bensì prende quota con la rappresentazione di uno sfondo che incombe sui personaggi, con il vociare indistinto e rumoroso della folla, che si sovrappone alle interminabili discussioni dei personaggi, e i palazzi monolitici e severi osservatori silenziosi delle vicende umane, che si svolgono all'ombra della loro insondabile presenza.

L'iniziazione di Lisa però è anche un occhio sul mondo e, in particolare su una nazione costretta a fare i conti con la storia e con la consapevolezza di un'innocenza perduta che il film afferma in maniera inequivocabile nelle scene di ambientazione scolastica dove il professore invita i ragazzi a confrontarsi con i temi scottanti della politica estera americana, scatenando il putiferio, oppure quando attraverso il personaggio interpretato da Jean Reno esprime il suo punto di vista sulla questione ebraico-palestinese, altro nodo cruciale della nostra contemporaneità. Una quantità di temi e di spunti che la pellicola fatica a restituire in maniera organica, dando spesso la sensazione di una costruzione troppo programmatica, quando cerca di conciliare la vicenda personale di Lisa con quella delle persone che le stanno accanto. E poi una sceneggiatura che rende troppo vaga e quasi scontata la coesistenza tra il senso di colpa della ragazza e la determinazione con cui cerca di attribuire tutte le responsabilità al conduttore del bus. Forse è per queste ragioni che "Margaret" sembra un film continuamente ripensato, a tratti estenuante, sempre pronto a fare marcia indietro, a rimangiarsi quello che ha detto per intraprendere un'altra direzione. In questo senso non sono state d'aiuto le vicissitudini di un film girato nel 2005 e poi fermato da problemi produttivi risolti solo con l'intervento di amici e colleghi - il montaggio finale è stato realizzato in maniera autonoma dalla coppia Scorsese/Schoonmaker e successivamente approvato da Lonergan - che hanno permesso all'opera di uscire nelle sale. Interpretato da Anna Paquin, abbonata al ruolo dell'adolescente inquieta, "Margaret" può vantare la partecipazione amichevole di un cast all star tra cui vale la pena di citare Matt Damon nella parte del professore sedotto dalla sua studentessa.

(pubblicata su ondacinema.it)