martedì, marzo 13, 2012

The Grey

The Grey

Il cinema come forma di terapia.
Non solo per chi lo guarda ma anche per chi lo fa.

Non è un mistero che l'identificazione tra la realtà dello spettatore e la finzione dello schermo possa favorire la presa di coscienza di un determinato aspetto della nostra vita oppure cambiare uno stato interiore attraverso i processi catartici che un film può stimolare.

Se poi annulliamo la distanza tra il mondo ideale e quello vissuto come avviene per gli attori che quella trasposizione le devono interpretare, allora il transfert è totale, così come gli effetti da quello provocato.

Di conseguenza non sarà stato facile per Liam Neeson impersonare un uomo tormentato dal ricordo della moglie morta prematuramente. "Non avere paura" ripete la giovane donna rivolgendosi al compagno che la assiste durante gli ultimi giorni.
Una frase che deve essere riecheggiata spesso nella mente dell'attore mentre cercava di entrare dentro un personaggio che come lui era alle prese con un lutto ancora fresco.

E' da lì che deve essere partito per interpretare John Ottway cacciatore di lupi assoldato per proteggere gli operai di una compagnia petrolifera dagli assalti dei feroci animali. Un processo di assimilazione capace di ridisegnare il volto dell'attore consegnandolo ad un espressivirtà colorata di sofferenza vissuta sulla pelle.
Una trasformazione che Joe Carnahan utilizza per accrescere il carisma di un uomo che si ritrova a capo di un manipolo di uomini scampati ad un terribile incidente aereo. Persi in un deserto di ghiaccio e minacciati da un branco di lupi, i superstiti cercheranno di attaccarsi alla vita con la disperazione di chi non ha più nulla da perdere.


Joe Carnahan, un regista di belle speranze convertitosi a produzioni di routine aveva due possibilità: enfatizzare i meccanismi della suspence e dell' azione per puntare ad un intrattenimento spettacolare, basato sul continuo confronto tra il cacciatore e la sua preda, oppure innestare in un racconto di avventura dalle venature horror elementi di riflessione scaturiti dal contatto con l'elemento naturale prima e con quello animale poi.

Ne sceglie invece una terza in cui dapprima riduce i personaggi a una tipologia caratteriale, funzionale ad alterare le dinamiche relazionali all'interno del gruppo, e poi li consegna alla morte con una serie di espedienti che diminuiscono una credibilità ricercata nella scelta di location reali e particolarmente disagiate, per la stupidità dei comportamenti messi in atto.

In questo modo il film si riempie di sentimenti infarciti di nostalgie familiari e solitudine interiore, di lunghe attese aspettando il prossimo attacco di un avversario che il film centellina con apparizioni quasi sempre nascoste all’occhio dello spettatore.
Una soluzione in economia che lascia spazio a lunghi momenti di pausa, troppi per una trama che punta in maniera scontata allo scontro finale, quello in cui il protagonista rimarrà da solo di fronte al suo destino. Alla fine l’unica cosa che rimane è la maschera di dolore di Neeson/Ottway .
Neanche un film così poco suggestivo riesce a farcela dimenticare.

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