martedì, novembre 02, 2010

SOUL KITCHEN

SOUL KITCHEN
di F Akin


Celebrato dai festival ed accolto con rispetto dal pubblico pagante Fatih Akin non si è montato la testa: così dopo due film di struggente bellezza ma anche pieni di quelle seriosità che da anni rappresentano la caratteristica indispensabile per buona parte dei Mujaheddin culturali, il regista turco tedesco fa un passo indietro, o forse in avanti, mettendo in scena una pochade culinario musicale che pur non perdendo nulla di quella commistione interraziale e meticcia altrove rappresentata, la rinnova nella consapevolezza di un “Nostos” finito laddove era cominciato (per una volta il passaporto dei protagonisti non si traduce in uno spostamento geografico ed emotivo) e di un’affabulazione priva di requisiti sanguinolenti e disgreganti .

In termini esistenziali “Soul Kitchen”, per le caratteristiche intrinseche del microcosmo rappresentato - le facce che l’attraversano ma anche la musica appartengono ad un mondo capace di accogliere le influenze più disparate - è una terra promessa a domicilio, in cui è possibile ricreare le condizioni per essere felici. Così accade anche a Zios, greco trapiantato in Germania, ed al di lui ristorante da cui il film prende il titolo, alleati in una scommessa che va controcorrente, uniti dalla voglia di concedersi agli altri senza mezza termini e senza nessun tornaconto: il fratello senza arte né parte, la moglie algida ed un po’ fedigrafa, la cameriera scostante ma dal cuore d’oro e pure la fisioterapista che lo sta curando da un mal di schiena che lo perseguiterà per tutto il film sono l’esempio, nella loro diversità ma anche nell’accettazione con cui il protagonista le comprende, di questa nuova leggerezza.

Abituato a non farsi mancare niente, Akin si concede ancora una volta il lusso di relegare a comprimari i volti noti del suo cinema per lasciare spazio ad un attore poco noto, almeno a questi livelli, ma altrettanto efficace : Adam Bousdoukos, nella parte di Zinos, corpo generoso e faccia da guappo, è infatti il valore aggiunto di un film come al solito supportato da un energia che sembra condensare in un sol colpo la pazzia tizgana dell’umanità Kusturichiana con atmosfere che ricordano molto scampoli di cinema alla Aki Kaurismäki. Ed anche le mancanze,come quella di alcune situazioni che sembrano solo un pretesto per un sottofondo musicale - ad un certo punto il ristorante si trasforma in una sala di prove musicali, oppure di alcuni personaggi che fanno appena capolino, si pensi alla fisioterapista destinata a rappresentare un cambio di direzione senza averne la forza necessaria in termini di scrittura, oppure a Shayn, cuoco pazzoide ma pieno di talento improvvisamente tolto di mezzo per dare lustro all’avvenuto cambiamento del protagonista, per non dire del buonismo che pervade anche le azioni più crudeli, diventano accettabili in un impianto che riesce ad essere barocco nella sostanza ed equilibrato nella forma. Premiato con il premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Venezia del 2009, Soul Kitchen rappresenta un ottimo vaccino al pessimismo dilagante della nostra contemporaneità.


2 commenti:

veri paccheri ha detto...

film bello, bello, bello! e anche.. BELLO! :-)
Akin non mi delude mai!

Anonimo ha detto...

..hai ragione cara "La Direttora", ed aggiungi anche che un inversione di tendenza come quella di Soul Kitchen è un evento molto rara in un panorama che tende a reiterare all'infinito il medesimo copione..

nickoftime