giovedì, marzo 18, 2010

ALICE IN WONDERLAND

ALICE IN WONDERLAND
di Tim Burton


"Quasi affatto" (per citare il brucaliffo) è utile fare confronti tra cinema e letteratura perché un film dovrebbe sempre reggersi sulle proprie gambe ed essere apprezzato come lavoro a sè stante – oppure reggersi sulle proprie zampe ed essere accarezzato sotto il mento.
Detto questo, Tim Burton, nella sua rivisitazione delle avventure di Alice, ha affondato le mani nei racconti di Lewis Carroll cercando di sfidare l’impossibile, ovvero di dare un senso cinematografico ai personaggi e alle vicende che per la mente matematica di Carroll, alle prese con i divertissment della logica, non sono che rappresentazioni di universi algebrici in cui si celebrano gaudenti festival di equazioni di secondo grado e in cui si scontrano suggestivi sistemi di disequazioni irrazionali provocando turbinii di logaritmi di quozienti e sturm und drang di radicali doppi (fa molto menu nouvelle cuisine…).
E da questa sfida Burton non ne esce troppo poco vincente ma nemmeno nient’affatto perdente, se così fosse stato lo poteva essere, se non lo fosse non lo sarebbe :-))

Del suo lavoro è interessante e a tratti coinvolgente l’impianto scenico ricco di elementi gotici e di bizzarrie anatomiche che sono il suo marchio di fabbrica (Helena B.C è perfetta nel ruolo di macrocefala regina rossa), mentre la storia, i protagonisti e lo scopo nel loro insieme danno al film una sensazione di incompiutezza: l’esplorazione del mondo dell’assurdo rimane purtroppo fredda e priva di quella carica emotiva e drammatica necessaria per poter assurgere a viaggio alla scoperta del sé interiore con conseguente risveglio e liberazione catartica.


Mia Wasikowska – che per tutto il film mi chiedevo a chi somigliasse e ora l’ho capito: sembra la versione femminile del calciatore Andrij Shevchenko – è un’inconsistente Alice poco convincente nella sua missione di rendere possibile l’impossibile, missione cui, con il proseguire della narrazione, si sovrappone il compito oneroso di riscoprirsi artefice del proprio destino che finisce per eleggere Alice a ruolo di paladina dell’emancipazione femminile – l’armatura d’argento modello Giovanna d’arco le sta da dio.
Gianni Depp è un credibile incredibile cappellaio matto ed è piuttosto sopportabile nella sua ennesima performance gigionesca che insieme al cospicuo trucco e parrucco restituisce un personaggio malinconico che fa anche tenerezza.
Dunque, di ritorno dalla tana del bianconiglio non tutto è da buttare…. I momenti di noia sono tutto sommato compensati da piccole cose strambe e divertenti che strappano qualche risata e salvano il film, le più memorabili riguardano il maiale poggiapiedi, la mobilia animata e i conati di vomito dell’ironica regina bianca Anne Hatheway.
Un’ultima considerazione sul 3D: non è spinto e aggiunge poco o nulla al talento visionario di Burton - del quale, credo, la regina Rossa non ordinerà di tagliare la testa.
Ma c’è una domanda che ancora non trova risposta:
voi sapete perché un corvo assomiglia ad una scrivania?

2 commenti:

vinile ha detto...

@Parsec: sei come Danette, sei stato troppo troppo buono (mi sono distratta, Parsec, sei un mostro o una mostra?)
Io volevo andarmene dalla sala per la noia, per me è il film è un bel fallimento. Solo quando la regina bianca cerca un paladino che la rappresenti in battaglia e lo trova in Alice ho avuto un sussulto sperando che l'emancipazione femminile di cui parli culminasse in una love story tra le due, ma sarebbe stato un altro film. Ciao

parsec ha detto...

@Vinile: sono una mostra. Non mi sento di considerare Alice un fallimento. E' forse un film incompiuto ma ci sono cose apprezzabili. Sì, un epilogo con rigurgito saffico sarebbe stato più sorprendente delle mine vaganti di ozpetek. Ciao