venerdì, ottobre 23, 2009

THE INFORMERS

Probabilmente assuefatto al successo letterario, Brett Easton Ellis sembra deciso ad impegnarsi anche nel cinema, e nel giro di poco tempo è riuscito a trasportare su pellicola una manciata di libri che a suo tempo lo avevano riportato all'attenzione degli appassionati, dopo un periodo di relativo anonimato: il primo di questi è appunto "The Informer", affresco generazionale ed anche epitaffio di una stagione come quella degli anni 80, di cui Ellis fu un dei massimi cantori, e che anche qui, seguendo il modello della pagina scritta, viene fotografata attraverso una serie di storie incrociate, in cui l’insoddisfazione personale e la superficialità dei rapporti umani diventa il motivo di unione delle differenti esperienze.

Ambientato nella Los Angeles del 1983, anno cruciale per la scoperta del virus dell'Aids determinante per le influenze sui costumi sessuali di quel periodo, The Informers ci catapulta immediatamente nel clima di quegli anni a colpi di decibel (New Cold Dream dei Simple Minds) e corpi danzanti, in un deliquio generale di ambiguità e rimandi sessuali.
Il disimpegno come laboratorio di dinamiche sociali, in cui l'agone della gioventù benestante sfoga il bisogno un affettività familiare sacrificata alla sicurezza degli oggetti.
Un crescendo emotivo interrotto bruscamente da un incidente mortale che cambia il volto del film.
Siamo solo agli inizi, ma da quel momento il film sembra quasi fermarsi, mentre cerca di raccontare le conseguenze del tragico evento su un nucleo di persone diversamente legate allo scomparso.
Una compagnia di amici legata dalle convenienze sociali, due belli e dannati in cerca di nuove esperienze, il produttore cinematografico passivamente indeciso tra la giovane amante ed una moglie depressa, il portiere d’albergo coinvolto da un losco lestofante nel rapimento di un bambino e la star musicale distrutta dalla droga sono il milieu scelto dal regista per declinare il decennio.

Peccato che la desolazione ed il deserto sentimentale derivi più che altro dalla presenza di interpreti che vissero in quegli anni il massimo fulgore e che qui sovrappongono il loro declino personale e quello dei personaggi interpretati: Mickey Rourke, alle prese con l'ennesimo ruolo di bad guy, Kim Basinger impegnata a rinverdire la sua fama di irresistibile mangiauomini, Wynona Ryder a cui sono rimasti solo gli occhi di cerbiatto ed anche Brad Renfro, segnato da una vita vissuta al limite e qui alla sua ultima interpretazione (il film è dedicato alla sua memoria), sono gli scalpi rubati ad un epoca che è già diventata passato remoto.
Il film rievoca queste facce e questi corpi, limitandosi ad illustrare tutto il resto nella perfezione di immagini che spengono qualsiasi introspezione e lasciano lo spettatore nell’indifferenza del già visto.

Gregor Giordan, scelto per motivi di logiche produttive, non rischia niente e si limita ad esporre la merce a sua disposizione (su tutti Amber Heard, generosa protagonista di nudi alla Helmut Newton), sorvolando quando invece si tratterebbe di approfondire (la presenza degli episodi che coinvolgono Mickey Rourke e Brad Renfro da una parte e Taylor Pucci e Chris Isaak sembrano più una svista del montatore che una reale necessità).
L'interesse dell’operazione si riduce ad un catalogo di cose e situazioni che, tolte dal contesto storico in cui sono inserite, potrebbero appartenere all'inutile di ogni epoca ed una volta tanto bisogna rendere merito alla mancata (fin qui) distribuzione dello stesso nelle sale italiane.

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