lunedì, marzo 09, 2009

Milk, di Fabrizio Luperto

Dopo la recensione di MILK di Ethan e Nickoftime, è ora la volta del nostro Fabrizio Luperto, che ci propone il suo punto di vista sul film di Gus Van Sant.

Gus Van Sant ritorna sugli schermi con questo biopic che rinverdisce la sua politica della rotazione tra piccoli film e produzioni dal budget importante.
Cronaca di una morte annunciata, quella di Harvey Milk (Sean Penn), portavoce della comunità gay di san francisco, eletto nel consiglio comunale della città californiana e ucciso dall'avversario politico Dan White (Josh Brolin).

I temi principali di MILK, l'incomprensione, il rifiuto del "diverso", la ghettizzazione, ricorrono spesso nel cinema di Van Sant che in passato ha ampiamente dimostrato di saperli ben rappresentare.
Scegliendo la via del biopic però, il regista si trova di fronte a non poche difficoltà a causa delle limitazioni che questo genere di film comporta: riportare fedelmente i fatti e rischio di santificare il protagonista su tutte.
Risulta quindi inevitabile che il regista si preoccupi di maneggiare con cura la materia e che presti, forse, fin troppa attenzione a far quadrare i conti, in sala come al botteghino.
A questo scopo dopo una ricostruzione meticolosa della San Francisco dell'epoca, Van Sant ripulisce la comunità gay da prostituzione e droghe pesanti, elementi non proprio estranei al movimento omosessuale nella San Francisco dei seventies, ma che potrebbero risultare disturbanti per lo spettatore non incline al cinema del regista di Louisville.
Ne consegue che MILK risulti come privo di anima e che i marchi di fabbrica di Van Sant, vale a dire il lento movimento di macchina e la stilizzazione delle immagini a cui ci aveva abituato con gli ultimi film, siano centellinati o pressochè assenti.
Sprazzi d'autore possono essere individuati nella sequenza del duplice omicidio con il pedinamento dell'assassino che ricorda molto ELEPHANT (Palma d'oro a Cannes) oppure nel volto di Scott (James Franco) riflesso sul vetro che anticipa il distacco tra lui e Harvey Milk.
Interessanti anche le inquadrature del comizio: quella dal basso, mentre H. Milk arringa la folla, che riproduce lo sguardo di uno spettatore tra i tanti che assistono al comizio e quella dall'alto di spalle in cui H. Milk (grazie alla fotografia bidimensionale di Harris Savides) diventa tutt'uno con il suo pubblico come a simboleggiare che il futuro consigliere comunale in quel preciso istante si senta "uno di loro" che vive e soffre esattamente come chi lo sta ad ascoltare e non un uomo che si trova su un palco a pontificare da lontano.Opera tutto sommato gradevole di un Gus Van sant compromissorio.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ottima osservazione Fabrizio. La risposta alla tua analizi, io l'ho trovata in un momento del film, quando Milk esclama:- Ora ci (mi) togliamo (tolgo) i tacchi a spillo e andiamo a lottare. In questo momento, penso che il regista voleva avvisare i suoi fans e spettatori cinefili che questa pellicola civile è adatta ad un grande pubblico e accessibile a tutti, abbandono così ad esempio la sperimentalizzazione dei suoi film precedenti.

Anonimo ha detto...

sperimentazione :)