venerdì, aprile 25, 2008

Film in sala da venerdi' 25 aprile

Tutti pazzi per l'oro
Fool's Gold
regia: Andy Tennant
genere: commedia
prod.: USA

3ciento - Chi l'ha duro... la vince!
Meet the Spartans
regia: Jason Friedberg, Aaron Seltzer
genere: commedia
prod.: USA

L'altra donna del Re
The Other Boleyn Girl
regia: Justin Chadwick
genere: dramamtico
prod.: Gran Bretagna

I demoni di San Pietroburgo
regia: Giuliano Montaldo
genere: drammatico
prod.: Italia

Un amore senza tempo
Evening
regia: Lájos Koltai
genere: drammatico
prod.: USA

Sotto le bombe
Sous les bombes
regia: Philippe Aractingi
genere: drammatico
prod.: Francia, Gran Bretagna, Libano

L'anno mille
regia: Diego Febbraro
genere: commedia
prod.: Italia

U2 3D
U2 3D
regia: Catherine Owens, Mark Pellington
genere: documentario
prod.: USA

La sposa fantasma
Over Her Dead Body
regia: Jeff Lowell
genere: commedia
prod.: USA

mercoledì, aprile 23, 2008

MR73 L'ultima missione

Louis Schneider è un poliziotto dall'anima strapazzata, maltrattato dalla vita, che annega la sua disperazione nell'alcool cercando di scacciare i suoi incubi e i suoi rimorsi.
Al centro della storia due fatti di cronaca dei primi anni 80: un inchiesta su un serial killer continuamente insabbiata dai vertici della polizia e la concessione della libertà ad un feroce omicida.
L'agente interpretato da D. Auteuil viene emarginato dalla squadra omicidi di Marsiglia sia per la sua intransigenza, sia perchè ormai ridotto ad uno straccio d'uomo.
La delusione verso il potere e il non riuscire a trovare una via d'uscita dal baratro in cui è sprofondato portano Schneider ad una decisione estrema: fare giustizia personalmente.
Il regista transalpino, autore dell'ottimo 36 QUAI DES ORFEVRES, disegna con maestria la figura di questo poliziotto disilluso che ricorda il Mickey Rourke di ANGEL HEART.
Una Marsiglia livida e brutta, gli uffici della polizia (eccessivamente) malandati, la squallida stanza d'albergo del protagonista fanno da sfondo a questo noir senza speranza.
La rabbia verso la polizia, una costante nei film di Marchal, nasce dalla storia personale del regista francese, infatti, ha un passato da poliziotto e gli episodi raccontati nel film, a suo dire, lo spinsero a dare le dimissioni.
Che Marchal sia emotivamente coinvolto nella storia che racconta lo si nota fin troppo; il regista francese in qualche occasione si disinteressa dei meccanismi del racconto, semplifica il tutto e si concentra sui volti dei protagonisti, attraverso i quali vuole, ancora una volta, rendere più espliciti i loro stati d'animo e le loro sofferenze.
Daniel Auteuil, come sempre, offre una prova di alto livello.
Poliziotti depressi e disillusi spesso servi o complici di superiori arroganti e corrotti, vittime abbandonate dallo stato, assassini protetti da uomini di potere, non ci sono buoni nel polar del bravo Olivier Marchal.

sabato, aprile 19, 2008

Non pensarci

Gianni Zanasi e' tornato, finalmente.
Lo attendavamo da tempo, l'Italia cinemaniaca ne aveva bisogno. E ritorna grazie ad una comemdia fresca e leggera, ambientata in Romagna ed animata da un ottimo cast, in cui spicca il sempre piu' preparato Valerio Mastrandrea.
La storia non e' tra le piu' originali, ma si presta ad una lettura nuova: si affrontano le crisi esistenzaili, le cirsi di famiglia, i rapporti tra fratelli, e il tutto e' declinato in un tempo nuovo, con un ritmo frizzante e divertito.

Si riflette, si scherza. Zanasi dipinge personaggi un po' fiabeschi e dai colori vividi, in una Rimini in bilico tra il soffice sogno e la disperazione della piu' estraniante noia di provincia.
E' una Romagna borghese quella che si intravede, ma dal cuore semplice e gioviale. Il padre di famiglia, piccolo industriale, e' un uomo che si e' fatto da se', che ama il proprio lavoro e la propria gente. E lo spirito industrioso e godereccio tipico della nostra terra traspare durante tutta la pellicola.
Valerio Matrandrea tende un po' a reintepretare se stesso, la sua romanita' lo tradisce, non sembra proprio un romagnolo, tuttavia questo non guasta il risultato finale. L'attore si muove ormai con grande disinvoltura sulla scena e questo e' dovuto molto alla sua esperienza nonche' al suo talento.

Gradita la presenza di Giuseppe Battiston, caratterista sopra le righe che potrebbe, per talento, reggere un film come protagonista, ma che dobbiamo riconoscere che in ruoli da non proagonista riesce sempre egregiamente nel proprio lavoro. Mi piaque tanto in pane e tulipani e agata e la tempesta di soldini e in la giusta distanza di Mazzacurati.
Anita Caprioli e' bella e luminosa.
Paolo Briguglia ritorna in un ruolo secondario che dipana con disinvoltura. Mi piaque in La terra di Sergio Rubini e in Ma quando arrivano el ragazze? di Pupi Avati, e in Non pensarci regala un tocco di regionalismo che giova alla pellicola.
Zanasi si avvale di attori di livello e li dirige con coerenza e mano sicura.
Molti i momenti di divertita ironia.
Una boccata d'ossigeno in quest'annata di cinema italiano assolutamente fiacca e senza nuove idee.

Juno

La sceneggiatura di Juno, scritta da Diablo Cody, ha vinto l'oscar 2008 come miglior script originale. Basti questo per convincere il pubblico a regalarsi un'ora e mezza di divertimento, in un film dove ilarita' e riflessione sono intrecciate con delicatezza.
Juno e' un'adolescente che si ritrova a dover affrontare una gravidanza indesiderata, affiancata dalla propria famiglia e dal proprio fidanzato. E durante questo viaggio comprendera' molti aspetti della propria delicata esistenza e dei propri sentimenti, coinvolgendo altre anime in cerca di uno specchio sul quale riflettere la parte più ferita di loro stesse.

Jason Reitman, regista di Thank you for smoking e figlio d'arte di quel Ivan Reitman che ci ha fatto spanciare dalle risate negli anni '80 con i blockbuster Ghostbuster e I gemelli, mette in scena una storia davvero originale e dalle molte letture, che offre materiale per guardare gli Stati Uniti con meno angoscia e criticismi. La famiglia di Juno e' finalmente una famiglia media americana positiva, rilassata, e lei e' una ragazzina piena di vita, ferita dalla vita e dagli eventi, ma che non si perde d'animo.
Diablo Cody ci parla di adolescenti che hanno desiderio di reagire con positivita' alle difficolta' della vita, ci parla di uomini adulti che sono piccole mele acerbe e spaesate, di ragazzini vigorosi e sorprendenti, di donne annichilite in un desiderio di maternita' irraggiugibile. E dipinge con assoluta ironia ed energia il ritratto di un'adolescente unica nel suo genere.
Tutto il merito va a una blogger di nome Diablo Cody che è stata scoperta da uno dei produttori mentre navigava su Internet. Colpito dal suo stile umoristico, Novick ha deciso di chiamare la scrittrice per proporle la stesura dello scritto che, per tutta la durata del film, si distingue per la sua natura ultra contemporanea e spiccatamente femminile.

La sceneggiatura e' davvero ben scritta e strutturata: nessun personaggio e' lasciato alla deriva e tutti apportano un mattoncino necessario alla completezza del quadro. Bei dialoghi. Ellen Page interpreta con vigore la protagoinista. Jennifer Garner ben si pone con un personaggio in bilico e sofferto.
Messa in scena trasparente e scanzonata. Nessuna sequenza sembra inutile. Ottimi i titoli di testa.
Due le scene che ricordero': l'abbraccio tra Juno e Paulie, sul letto d'ospedale, dopo il parto, e la loro canzone cantata in duo, con le loro chitarre in braccio, dentro la cornice di quartiere residenziale periferico americano in puro stile Sundance festival.

Il matrimonio e' un affare di famiglia

Dopo Segreti e bugie, che l'ha portata al successo, e L'erba di Grace, che ne ha confermato le doti di attrice da commedia oltre che di dramma, l'attrice inglese Brenda Blethyn torna sul grande schermo di nuovo nel ruolo di una madre di famiglia, questa volta in un film australiano, Il matrimonio e' un affare di famiglia,interpretando un profilo di donna complesso e coinvolgente e regalandoci uno dei personaggi piu' addolorati e spumeggianti allo stesso tempo di quest'annata di cinema.

Clubland (questo il titolo originale), il film della quasi esordiente Cherie Nowlan - scritto da Keith Thompson, veterano sceneggiatore di serial TV, qui alla sua prima vera prova come sceneggiatore cinematografico per il grande schermo - racconta la storia di una famiglia australiana all'apparenza come tante, e che come nessun altra vive e soffre, gioisce e cade, si evolve verso una presa di coscienza che fara' maturare tutti i suoi componenti.

La sceneggiatura e' davvero ben scritta, ritmata, incalzante: ottimi i dialoghi, ottime le battute, si ride davvero, ci si commuove. I personaggi sono ben descritti e interpretati.
Questa commedia, che in Italia e' stata tradotta con un titolo davvero imbarazzante e poco rappresentativo, ha il pregio di non abbandonare una certa seriosita' nell'affrontare tematiche riguardanti la famiglia, la crisi individuale e la paura della solitudine e di non dimenticare mai che di queste cose se ne parla meglio se lo si fa con un atteggiamento ironico e fantasioso.
Plauso allo scenbeggiatoire per la positività di fondo e il bel personaggio della protagonista, Jean Dwight. Apprezzabile la messa in scena, che produce un film scorrevole e avvolgente.
Distribuisce Lucky Red.






giovedì, aprile 17, 2008

Film in sala da venerdi' 18 aprile

L'amore non basta
regia: Stefano Chiantini
genere: drammatico
prod.: Italia

Step Up 2 - La Strada per il successo
Step Up 2 the Streets
regia: Jon Chu
genere: commedia
prod.: USA

Ortone e il mondo dei Chi
Horton Hears a Who!
regia: Jimmy Hayward, Steve Martino
genere: animazione
prod.: USA

L'ultima missione
MR 73
regia: Olivier Marchal
genere: azione
prod.: Francia

21
21
regia: Robert Luketic
genere: dramatico
prod.: USA

10 cose di noi
10 Items Or Less
regia: Brad Silberling
genere: dramamtico
prod.: USA

Il matrimonio è un affare di famiglia
Clubland
regia: Cherie Nowlan
genere: comemdia
prod.: Australia

La velocita' della luce
regia: Andrea Papini
genere: dramamtico
prod.: Italia

Shine a Light


Prima di scegliere il titolo dall'elenco dei film usciti in sala mi sono chiesta "E quando mai mi capitera' di vedere i Rolling Stnes dal vivo? E davvero avro' intenione di noleggiare/acquistare il dvd quando uscira'? E comunque sia, non possiedo un impianto audio home cinema... percio' eccomi entrare in sala per gustarmi, nella piu' totale impreparazione, Shine a light, la testimonianza di uno dei concerti piu' amati di tutti i tempi dai fans del rock di tutto il mondo, visto dall'occhio di uno dei miei registi preferiti. Ultima chicca, bhe', il concerto si svolge a new york...
Il docu-rock di Martin Scorsese coglie appieno l'anima rock di questo gruppo di musicisti incalliti e mai paghi di emozioni musicali, che da oltre 40 anni dominano la scena musicale internazionale e che non badano al tempo che passa. Scorsere alterna brani dal vivo - tratti dai due concerti tenuti al Beacon Theater di New York - con stralci di vecchie interviste anni '60 e '70 che dipingono senza sbavature il ritratto di una band trasgressiva e godereccia insieme, fotografando in tutta la loro vitalita' questi 4 adolescenti un po' cresciuti che non si arrendono al tempo che passa. Ribadisco questo concetto del tempo perche' davvero i Rolling Stones hanno preso degli anni, ma guardandoli suonare e cantare e saltare sul palco non sembra proprio che sentano il peso della loro eta'. Forse sono stati piu' gli eccessi di droga e alcool ad averli un po' incrinati. Mick Jagger ha una energia che molti giovani 20enni di oggi se la sognano, e cosi' gli altri tre. Keith Richard e' davvero brutto, mi dispiace dirlo, impressiona come gli eccessi di gioventu' (e forse anche attuali) lo abbiano consumato, eppure, nonostante tutto, e' vivo e vitale, altro che! Ron e Charlie sembrano due varani di komodo con dli orecchini e le catenine, ma non deludono in un solo riff.

I Rolling Stones non necessitano di presentazioni ne' di introduzioni, vanno ascoltati e guardati cosi', anche senza conoscere un solo pezzo del loro repertorio - ed infatti io nemmeno uno ne conosco, lo ammetto bellamente, beata ignoranza - perchè ciò che conta è l'energia che sprigiona la loro musica, la gioia che si coglie nei loro sguardi quando cantano e suonano e si perdono lungo i sentieri delle loro canzoni. Ed il loro e' rock, e poi e' blues, e poi e' country, e' un sound al servzio delle loro storie, della loro voglia di fare festa e cantare con gioia e disincanto.
La musica e' vita e come niente altro regala momenti di estasi e gioia pura, staccata da ogni razionalita'. Ovviamente i new yorkesi erano in delirio, il teatro, senza transenne ne' barriere di sorta, ha partecipato con grande calore a tutti i momenti dei due concerti.
Duetti con Jack White dei The White Stripes, Buddy Guy e Cristina Aguilera. I Rolling Stones regalano al pubblico anche "As Tears Go By", ceduta, appena nata, a Marianne Faithfull e che non avevano mai avuto il coraggio di esibire dal vivo in un tour.

giovedì, aprile 10, 2008

Film in sala da venerdi' 11 aprile

La seconda volta non si scorda mai
regia: Francesco Ranieri Martinotti
genere: commedia
prod.: Italia

Shoot'Em Up - Spara o muori!
regia: Michael Davis
genere: azione
prod.: USA

In amore niente regole
regia: George Clooney
genere: commedia
prod.: USA

Alla ricerca dell'isola di Nim
regia: Jennifer Flackett, Mark Levin
genere: avventura
prod.: USA

Interview
regia: Steve Buscemi
genere: drammatico
prod.: USA

Shine a Light
regia: Martin Scorsese
genere: documentario
prod.: USA, Gran Bretagna

Riprendimi
regia: Anna Negri
genere: drammatico
prod.: Italia

Oxford Murders - Teorema di un delitto
regia: Álex De la Iglesia
genere: thriller
prod.: Spagna, Francia

mercoledì, aprile 09, 2008

La zona

La zona è il nome di un quartiere residenziale di una città senza nome ma assimilabile per i connotati di povertà ed anonimato a quelle che popolano il sud del mondo. Al suo interno vive una comunità che si è sottratta alla violenza degli indigenti ed alla corruzione degli organismi statali, grazie ad uno status speciale che gli assicura il privilegio di amministrarsi secondo regole proprie e fintanto che nessun fatto di sangue si verifichi al suo interno. La sua presenza difesa da un muro di cinta sormontato da filo spinato e sorvegliato da telecamere perennemente accese ne fanno un bunker inaccessibile e per i fortunati abitanti il luogo ideale per una vita asettica e sicura. In una serata umida e piovosa il destino decide di rimettere tutto in discussione, permettendo a tre balordi di introdursi all'interno della proprietà e dare vita ad un furto che si conclude in un bagno di sangue.
Di fronte alla possibilità di denunciare l'accaduto alla Polizia e rischiare di perdere i loro privilegi, il comitato d'emergenza decide di coprire l'accaduto ed eliminare anche l'ultimo malvivente che nel frattempo vive clandestino all’interno della Zona. Rodrigo Plà, regista messicano evita la retorica del raccontino sociologico, e ci presenta uno scenario a dir poco apocalittico, dove tutto è già accaduto: le disfunzioni di un mondo incapace di assicurare la dignità ed il diritto alla vita dei suoi abitanti non sono il frutto di un enunciazione pamplettistica inserità all’interno del racconto, ma si deducono dai comportamenti dei personaggi e dal modello di vita che si sono scelti. La Zona rappresenta in questo senso un modello di società orwelliana impostata sul controllo e sulla paura. Un sistema che si regge su un illusione di diversità che viene meno quando, per evitare di far trapelare l’accaduto, i nostri accettano il ricatto del funzionario della Polizia che minaccia di denunciare l’accaduto e poi reagiscono con una violenza che li macchia dello stesso peccato di quei desaparecidos dai quali erano fuggiti. E sarà proprio l’incontro con quella diversità, che nel film è sintetizzata dal rapporto tra il giovane protagonista, un rampollo di quella società, ed il coetaneo più sfortunato ad evidenziare, nel bene come nel male, quella mancata diversità ed insieme a minare l’idea di aggregazione che sta dietro al progetto della Zona. Plà affida il suo messaggio ad un linguaggio che procede in maniera lineare per quanto riguarda la narrazione ma si frammenta nello stile e nell’uso del formato cinematografico . Il risultato è un cinema che ha la facilità d’approccio ed a volte il didascalismo del filone mainstrem ma anche l’istinto del cinema d’autore: basti pensare al rigore delle inquadrature che non fanno nessuna concessione allo spettacolo ed alla capacità di mantenersi essenziale nell’esposizione del racconto. Niente male per un giovane esordiente.

martedì, aprile 08, 2008

Tutta la vita davanti

(di ETHAN)
Tutta la vita davanti: e' un film sull'italia contemporanea e la sua mutazione che manca da circa vent'anni. A Virzi' riesce un buon film di narrazione del Paese in preda al berlusconismo, al capitalismo
postindustriale e al dominio dell'apparenza senza mai nominarli e senza cadere nella noia, perche' forse indovina la scelta della farsa agrodolce, dell'ironia e della complessita' dei personaggi.
Virzi' non risparmia nessuno. Gli intellettuali? rassegnati a fabbricare il grande fratello. I sindacati? retorici e pasticcioni, incapaci di reinvitare il senso della collettivita' in una societa' che ha perso i suoi punti di riferimento.

Il tutto potrebbe finire con una danza macabra o con la fuga all'estero ma il regista ci ricorda che si puo' pensare al mondo, fare un po' di filosofia e, anche se amaramente, ridere (sguardo positivo verso il futuro: la scena dove viene chiesto alla bambina che lavoro vuole fare da grande).
Ecco perche' io avrei fatto dire alla bambina il mestiere del tronista o un componente del grande fratello. Il mio sguardo verso il futuro e' molto pessimista se chi vincera' le prossime elezioni non riuscira' a dare nessun slancio all'Italia. (ethan)

giovedì, aprile 03, 2008

Colpo d'occhio

Colpo d’occhio è un film sul desiderio che nasce dallo sguardo e sulla follia che si produce quando non si riesce a soddisfarlo. Nella vita dei due protagonisti la capacità di vedere si traduce in un estasi istantanea che fa la differenza: collegati al mondo dell’arte per opposti talenti, i due non avrebbero niente da spartirsi sul piano umano se il destino non li scegliesse per interpretare una tragedia moderna che rivisita il mito faustiano nella scellerata alleanza tra il professor Lulli (Rubini ancora una volta alle prese con un personaggio sgradevolissimo), mefistofelico critico d’arte e Adrian Scala (Scamarcio) , scultore in cerca di successo.

Il sodalizio di un mondo in cui il mecenate è piu importante dell’artista e dove il valore di un opera può fare a meno delle sue qualità estetiche (ma non della raccomandazione: è questo il male del cinema italiano?) si rivela un gioco al massacro orchestrato dal critico per riconquistare la bella Gloria (molto brava Vittoria Puccini), un tempo sua protetta ed amante, ed ora compagna dell’ignara vittima. Un mito universale che Rubini mette in scena tenendosi lontano da inutili alambicchi e dando corda ad un cinema spietatamente umano ma capace anche di tradurre sul piano delle immagini i significati della storia. Il film è infatti attraversato da un movimento interno “Ascendente”, che dal particolare definisce il tutto e che ricalca il modus operandi dei due protagonisti costruttori di certezze basate su dettagli impercettibili: la cinepresa che si concentra su un singolo elemento e poi si allarga fino a comprenderlo nell’ambiente (i mdm sono fluidi e come l’eyes wide shut del titolo si chiudono e si aprono, spaziando tra primi piani ravvicinatissimi a panoramiche ad ampio respiro), i luoghi della storia che inizialmente appartengono ad una geografia anonima e provinciale per poi trasferirsi a quella conosciuta e glamour delle grandi metropoli (Roma Berlino Venezia), l’orizzonte geografico ed esistenziale dei due innamorati prima minimalista (la casa di campagna a lungo disabitata e la mostra di provincia)e e poi, suo malgrado eccessivo e pieno di cose (l’attico romano al centro di Roma per non parlare della Biennale di Venezia) sono il riflesso di questa progressione. Notevole è anche la dialettica dei personaggi, quasi allo specchio quelli di Rubini e Scamarcio per la loro incapacità di gestire le occasioni che il destino gli offre e quello della Puccini, musa su cui entrambi convergono e sintesi, per la trasparenza delle sue scelte, di quello che gli altri due non sono. Rubini, più interessato all’ambivalenza dei comportamenti umani che alle meccaniche del thriller (l’angoscia deriva dal conoscere in anticipo quello che sta per accadere sullo schermo), riesce a tirar fuori dai suoi personaggi tutta la gamma dell’umana debolezza e costringe lo spettatore a confrontarsi con quella. Insomma un cinema di sostanza che non rinuncia alla confezione (la musica è quella del Depalmiano Donaggio) ma soprattutto alla irrinunziabile emotività del mezzo cinematografico. Bravo Rubini, autore senza spocchia.

Film in sala da venerdi' 4 aprile

Juno
regia: Jason Reitman
genere: commedia
prod.: USA, Canada, Ungheria

Next
regia: Lee Tamahori
genere: azione
prod.: USA

Gone baby gone
regia: Ben Affleck
genere: drammatico
prod.: USA

The eye
regia: David Moreau, Xavier Palud
genere: horror
prod.: USA

Amore, bugie e calcetto
regia: Luca Lucini
genere: commedia
prod.: Italia

Non pensarci
regia: Gianni Zanasi
genere: commedia
prod.: Italia

La zona
regia: Rodrigo Plà
genere: drammatico
prod.: Spagna, Messico

All'amore assente
regia: Andrea Adriatico
genere: drammatico
prod.: Italia

mercoledì, aprile 02, 2008

Nessuna qualita' agli eroi

Dare forma ai percorsi mentali e psicologici che informano i comportamenti umani non è cosa da poco. Chi si cimenta in questo terreno deve fare i conti con un evidenza che è allo stesso tempo significativa ma anche impalpabile; un procedimento che richiede l'empatia del Terapeuta ed il distacco dell'Entomologo ben sapendo che, per quantoaccurato, il risultato riuscirà solo in parte a soddisfare le premesse ed a restituirci quella ragnatela di reazioni chimiche ed impulsi ancestrali che guidano la nostra vita. Quando è il cinema che si assume l'onere di far vivere quest'utopia i segni diventano ancor più soggettivi e spesso sconfinano fuori dallo schermo per annidarsi nella mente di chi li guarda.
Così accade anche nell'opera seconda di Paolo Franchi, un autore che certamente non deve essersi perso un fotogramma di Kieslowsky (la presenza di Irene Jacob non è un caso) ma anche per restare in Italia di Michelangelo Antonioni (soprattutto per la rarefazione del paesaggio umano e per il senso geometrico degli spazi), quando ha deciso di continuare a sondare le dissociazioni, anzi bisognerebbe dire le distanze che ci separano da noi stessi, con una storia ancora una volta ambientata a Torino, città nella quale si svolgeva parte del suo bellissimo "La Spettatrice". Ma in questo caso il regista dà vita ad un movimento che va in senso opposto (lì tutto iniziava dall'esterno, qui invece l'origine delle cose segue la direzione opposta), perchè a differenza del personaggio interpretato dalla Bobulova, che viveva la sua vita per interposta persona, rubandola a quelle delgi altri, spettatrice di un mondo che le apparteneva solamente in virtù di quello sguardo, quello di Bruno Todeschini si guarda e si ritrova mettendo ordine al caos che lo pervade (ed è paradossale in un film che procede con apparente disordine) procedendo in senso inverso, tirando fuori piuttosto che immagazinando, creando la realtà (il personaggio interpretato da Elio Germano è forse il suo doppio o comunque il simbolo del senso di colpa che gli impedisce di confidarsi con la moglie) piuttosto che subirla. Tutto ciò che vediamo è la proiezione del suo mondo interiore ( la struttura da thriller esistenziale non può funzionare in altra maniera). Il responso dello specialista che gli annuncia l'impossibilità di avere figli, il tentativo di nascondere alla moglie le difficoltà finanziarie e sopratutto l'incontro con Luca (Germano), un ragazzo che lo perseguita in maniera morbosa e per motivi che si chiariranno solo in parte, sono i frammenti di un mondo che è andato in frantumi ed insieme l'estremo tentativo di rimetterlo in piedi per liberarsene definitivamente. Dissoluzione e ricomposizione perfettamente sintetizzate dalle sequenze che aprono e chiudono il film : apparentemente uguali (in realtà la prima è continuamente spezzata da qualcos'altro, e corredata da un rumore - estraneo ed extradiegetico - che ci rivela fin da subito l'inizio della dissociazione mentre quella conclusiva, privata di quel "disturbo", ne annuncia la guarigione) con un campo medio sul protagonista ripreso di profilo mentre, seduto all'interno di una stanza arredata in maniera spartana e quel tanto per renderla funzionale, aspetta di parlare con il suo interlocutore ancora fuori scena. Sono schegge temporali di un attesa breve ma sofferta perchè è la premessa di un responso che in entrambi i casi non lascerà scampo al protagonista. Istanti che si dilatano senza tempo e su diversi piani (reale ed immaginario lasciano spesso il posto al flusso di coscienza ed al sogno),con una serie di scene autoconclusive se non fosse per la presenza di uno strano omicidio, che sembra legare ad un unico destino le vicende private dei due protagonisti.. Il paesaggio che riceve i loro pensieri ha il riflesso abbacinante di un raggio di sole e la solidità di un cielo carico di pioggia., mentre l'isolamento emotivo è reso concreto dall'inserimento di una colonna sonora che satura le percezioni con un suono cupo e ossessivo. Il continuo richiamo all'organo sessuale femminile, vera e propria "fonte di calore" , in un panorama freddo e senza amore, così come l'evidente, nei fatti ma anche nelle parole, rapporto conflittuale tra Padri e Figli ci rivelano la natura Edipica di un film che fallisce non tanto per la complessità dei temi ma per la prevedibilità della loro rappresentazione che sembra appartenere al repertorio già vista di tanto cinema del passato. La scelta dello stile è ineccepibile ma solo in alcuni momenti riesce a sostenere le intenzioni dell'autore. Rimane la stima per un regista che ha avuto il coraggio di rischiare, ma anche la delusione tutta personale per un attesa non ripagata.