giovedì, febbraio 28, 2008

30 giorni di buio

Il revival dei morti viventi continua e, dopo gli umanoidi di I am Legend arrivano i nazi vampiri di "30 giorni di buio". Il riferimento alle condizioni meteo che fanno di Borrow, un villaggio dell'Alaska identico a quelli immaginati nei film di J.FORD ,il luogo ideale dove dimenticare tutto (ed infatti i personaggi vi dimorano in uno stato lisergico, immersi in un presente a tenuta stagna che in qualche modo li preserva dai pericoli dell'inconscio). L'apertura quasi simbolica, con quel tramondo tanto bello quanto effimero è l'ultima scintilla di poesia, simile alla porta oscura dell'Inferno dantesco prima dell'immersione in un mondo di tenebre e di sangue, in cui la lotta contro il male si trasforma ben presto in una resistenza ad oltranza fino alla prossima alba.
Forte della lezione dei maestri del genere (Carpenter ma anche Romero) presenti non solo nell'evocazione del titolo ed in alcune citazioni (la nave su cui viaggiano i manigoldi. la nebbia che preannuncia l'arrivo del diavolo,la cittadina isolata e sotto assedio) ma anche le caratteristiche produttive che esaltano l'abilità nel valorizzare risorse finanziarie da B-movie (Carpenter in "Fantasmi da Marte" ci ha insegnato che la notte è un ottimo antidoto che valorizza gli effetti speciali e nasconde le carenze scenografiche). Uno stile fluido ma solido, che si increspa quando il buio si avvicina (ve lo ricordate il capolavoro della Bigelow ?, se no andatevelo a riguardare poi mi dite) con primi piani raggelati e bradisistiche accelerazioni che stimolano il subconscio dello spettatore. Il film vive sui contrasti psicologici (gli spazi sconfinati del territorio e quelli angusti e claustrofobici delle vittime così come nell'antitesi degli sguardi, quello dei vampiri, che si rinvigorisce con l'oscurità anteposto a quello cieco delle loro prede)e visivi (il sangue che scorre sul biancore della neve e le improvvise fiammate che interrompono il colore della notte), il cui effetto straniante riesce a trascinarti all'interno di una situazione senza uscita. Il regista costruisce uno spettacolo appiccicoso che inchioda alla sedia con una fantasia che si ciba di quotidianità (ancora Carpenter)- si pensi alla doppia valenza del potente Caterpillar, macchina infernale nell'incidente che cambia il destino della bella protagonista e successivamente strumento salvifico in una sequenza da sfida all'OK CORRALL (ancora Western- ed un mestiere che gli consente di tenere sempre alta la tensione.la visione del male come entitàsconosciuta eppure reale così come la rappresentazione sacrificale della vita necessaria alla continuazione della specie, sono la naturale conseguenza degli avvenimenti e non il frutto di una riflessione premeditata che dovrebbe secondo i soloni della 7 arte , ma qui per fortuna non accade, (anche se la visione della famiglia come proprietà privata grida vendetta), creare il messaggio capace di nobilitare l'anima pulp di questo tipi di prodotti ed invece finisce quasi sempre per imbrigliarne l'istinto. La faccia di Harnett, ripresasi dalla paresi facciale di Black Dhalia,è quella giusta per rendere credibili le emozioni di un uomo alle prese con qualcosa che sfugge alla sua comprensione

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