lunedì, dicembre 10, 2007

Nella valle di Elah

"Nella valle di Elah" e' un film che parla di dolore ma non solo. La presa di coscienza, lenta ma inesorabile del protagonista, interpretato da un Tommy Lee Jones in versione Eastwoodiana, e' un modo per mettere in discussioni due decenni di politica americana e per dire basta alla peggiore delle abberrazioni umame. Ma e' anche un'occasione per ricordarci che in questo cammino di redenzione abbiamo bisogno di tutto, di noi stessi, delle persone che ci vivono accanto, di quelle che ci circondano, nel piu' assoluto anonimato, per le vie delle nostre citta', del senso della vita che abbiamo completamente perduto, di quel senso religioso, di cui il film e' impregnato fin dal dal titolo, e poi proseguendo, con la raffigurazione di una famiglia "sacra" che riesce a sopravvivere ad un esperienza terribile, la morte del figlio prediletto, aggrappandosi alla speranza che quell'esempio disumano salvera' altre vite, che sara' il punto di partenza per la liberazione definitiva. Tutto cio' non basterebbe se non fosse supportato da un copione di ferro, che mette sullo stesso piano impegno civile e necessita' dell'anima, stendendo su entrambi un pietoso velo di parole e silenzi che sembrano durare all'infinito. Chiamato alla prova piu' difficile, quella della riconferma, dopo un successo da Oscar, Paul Haggis fa vedere di che pasta e' fatto, mostrandoci una guerra senza sangue, che riesce ad essere terribile anche solo a sentirla raccontare; c'e' la fa vedere sulla faccia delle persone, sui soldati rimpatriati che in realta' non sono mai tornati, su quelle dei genitori che non riusciranno piu' a dormire. Non ha bisogno di armi da fuoco, Paul Haggis riesce a sparare con la forza delle immagini ed il potere defragrante della verita'. Bisognerebbe ringraziarlo per averci fatto partecipare a questo viaggio nella notte oscura, dandoci la possibilita' di tornare e di iniziare a fare qualcosa anche noi per impedire che la storia torni a ripetersi.

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